Segnalare autovelox, tutor e posti di blocco via chat non è reato: nuova decisione

Isabella Policarpio

21 Febbraio 2020 - 10:58

Segnalare la presenza di autovelox e posti di blocco della Polizia tramite chat e gruppi Whatsapp non è reato: lo dice il tribunale di Alghero. Importante novità per tutti gli automobilisti.

Segnalare autovelox, tutor e posti di blocco via chat non è reato: nuova decisione

Legittimo segnalare agli altri automobilisti la presenza di autovelox, tutor e posti di blocco della Polizia tramite chat e gruppi Whatsapp: la giurisprudenza ha cambiato orientamento rispetto al passato, e ha ammesso che la segnalazione via telefono non può essere considerata reato.

La decisione proviene dal tribunale di Alghero che ha assolto una donna che nel 2016 era finita a processo a causa di una chat contro gli autovelox, e per questo accusata di interruzione di pubblico servizio. Ora l’accusa è caduta, e con essa la relativa sanzione (la reclusione fino ad un anno).

Per gli automobilisti si tratta di una novità tutt’altro che irrilevante: infatti sono sempre più diffusi i gruppi tra amici e conoscenti dedicati alla segnalazione dei posti di controllo e dei rilevatori di velocità. Una decisione piuttosto controversa, perché di fatto i gruppi Whatsapp possono vanificare le operazioni della Polizia.

Chat e gruppi Whatsapp per segnalare autovelox e posti di blocco sono legali

Alzi la mano chi non ha mai segnalato ad un amico la presenza di un posto di blocco. Ebbene pare che sia una pratica consentita, anche quando non si tratta di una segnalazione isolata ma di un gruppo Whatsapp creato appositamente per indicare ai componenti dove sono posizionati autovelox, tutor e controlli della Polizia.

La decisione è stata presa dal tribunale monocratico di Alghero, che ha assolto l’amministratore della chat contro gli autovelox, rigettando l’accusa di interruzione di ufficio e servizio pubblico mossa dalla Polizia di Stato. Il reato in questione, ex articolo 340 del Codice penale, prevede la reclusione fino ad un anno per chiunque “cagiona una interruzione o turba la regolarità di un ufficio o servizio pubblico o di un servizio di pubblica necessità.” La donna, invece, è stata riconosciuta innocente perché i componenti della chat erano in numero limitato (49 per la precisione) e perché risultava impossibile provare l’effettiva idoneità del gruppo Whatsapp di interferire con l’operato della Polizia.

La sentenza in questione apre nuovi scenari per gli automobilisti; infatti, prima di questa decisione, la giurisprudenza considera reato la creazione di chat di gruppo finalizzate ad evitare i controlli delle Polizia e quindi eventuali multe per eccesso di velocità o, peggio ancora, superamento del tasso alcolemico consentito.

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