Pagare per avere un posto di lavoro è senza dubbio deprecabile ma la disperazione in molti casi può condurci anche a questo; bisognerà però prima chiederci se un comportamento del genere è consentito e tutelato dalla legge.
Di questi tempi il mondo del lavoro è instabile e complesso e molti sono quelli che addirittura arriverebbero a pagare per un posto sicuro.
Purtroppo questo non è solo un modo di dire ma, in molti casi, rappresenta la realtà stessa dei fatti: ci sono davvero molte persone disposte oggi a pagare pur di essere assunte e trovare la tanta agognata stabilità economica.
Potrebbe sembrare impossibile, o quanto meno illegale, una procedura del genere; ma è davvero così? O ci sono dei casi in cui pagare per avere un lavoro per sé o per un familiare è invece consentito dalle legge?
Vediamo come comportarsi nel caso in cui ci si ritrovi a fare fronte a una simile situazione.
Raccomandazione
La raccomandazione è un’azione che favorisce un soggetto nell’ambito di una procedura di valutazione o selezione. La raccomandazione può coinvolgere un altro soggetto (lo sponsor) che esercita un’influenza sulla procedura di valutazione anche a mezzo di pagamento di una somma.
Possono essere distorti da raccomandazioni i risultati di concorsi pubblici, procedure di selezione del personale, procedimenti di valutazione scolastica, esami universitari o di abilitazione professionale.
Sembrerà paradossale ma chiedere una raccomandazione dietro compenso per un lavoro per sé o per un terzo di per sé non costituisce sempre un reato. I casi in cui è esplicitamente vietata questa eventualità sono quelli relativi all’acquisizione di posti di lavoro all’interno della pubblica amministrazione o di esami universitari e scolastici; in tal caso infatti siamo davanti a vera e propria corruzione.
Per quanto riguarda le aziende private invece la legge non definisce quest’azione come un vero reato ma come contraria al buon costume: stipulare un accordo simile infatti costituisce un contratto nullo per il quale non sarà possibile appellarsi allo stato o essere tutelati in alcuno modo.
Il contratto nullo
Un contratto si definisce nullo al verificarsi di diverse condizioni tra le quali appunto la causa illecita o contraria al buon costume; ma vediamo esattamente cosa vuol dire e quali implicazioni ha per chi lo stipula.
La nullità è un vizio talmente grave che si verifica a prescindere dall’intervento del giudice, che non fa altro che accertare qualcosa che si sia già realizzato; per questo si dice che il giudice “dichiara” la nullità del contratto, prendendo semplicemente atto di un fatto avvenuto.
Quando si stipula un contratto nullo per ottenere un posto di lavoro in cambio di denaro, nel caso in cui l’impegno non venga poi rispettato e il posto di lavoro non venga alla fine concesso, non sarà possibile rivendicare in alcun modo la restituzione di quanto corrisposto.
Questo non vuol dire che lo Stato sia dalla parte di chi truffa ma semplicemente che non considera valido un patto che si basi su tali presupposti. Nel caso in cui si diano soldi in cambio di un posto di lavoro lo si fa rischiando di non essere tutelati e perciò di non potersi appellare a nessuno in caso di truffa.
La Cassazione in proposito ha ammonito tutti i disoccupati affermando che in caso si diano soldi per un posto di lavoro lo si fa esclusivamente a proprio rischio e pericolo.
Si può tornare indietro?
Di solito, poiché il contratto nullo non vincola le parti al rispetto dell’impegno preso, è possibile utilizzare diversi espedienti per provare a sottrarsi ad esso o per richiedere la ripetizione dell’indebito, ossia la restituzione.
Questo non è possibile in alcun modo nel caso in cui la causa sia nulla per contrarietà al buon costume: se pago per avere un posto di lavoro non posso poi richiedere al datore di restituirmi i soldi che gli avevo versato in caso non mantenga la parola data.
Bisognerà quindi prestare molta attenzione a chi ci si affida per non rischiare di trovarsi senza lavoro e con qualche soldo in meno in tasca.
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