Vendere tra privati la licenza di ristorazione non è legale. Per ottenerla occorre sempre rivolgersi al Comune. Vediamo cosa si rischia e come procedere correttamente.
Non si può vendere tra privati la licenza di ristorazione. Il D.lg. numero 114 del 1998 impone che l’acquirente debba sempre rivolgersi al Comune, altrimenti il contratto di cessione stipulato tra le parti si considera nullo, quindi improduttivo di effetti.
La licenza di ristorazione, infatti, non può essere venduta o regalata senza ottemperare all’iter burocratico stabilito. Spetta al Comune verificare se l’acquirente possiede i requisiti richiesti, a garanzia del buon svolgimento dell’attività.
In questo articolo spiegheremo gli effetti della vendita illecita della licenza tra privati e come fare, invece, ad aprire un ristorante in modo legale.
Licenza di ristorazione: vietata la vendita tra privati
Vendere la licenza di ristorazione senza passare per il Comune non è legale. Lo impone il D.lg. 114/1998 e la giurisprudenza lo ha confermato in più e più occasioni.
Questo perché la licenza non è un bene personale e quindi non può essere alterata, venduta, prestata o ceduta. Potrebbe sembrare un procedimento macchinoso, ma per essere a norma il venditore deve prima “restituire” la licenza emessa dal Comune e solo allora il nuovo acquirente potrà iniziare l’iter per il suo ottenimento.
Se la licenza di ristorazione viene ceduta tra privati nonostante il divieto, il contratto scritto o orale non produrrà alcun effetto sul piano formale. Ciò perché in questa circostanza trova attuazione l’articolo 1418 del Codice civile sulla nullità dei contratti contrari alle norme imperative dell’ordinamento.
Come si ottiene la licenza di ristorazione
Come abbiamo visto, la licenza di ristorazione non può essere oggetto di compravendita tra privati, ma al contrario occorre sempre rivolgersi al Comune in cui si vuole aprire l’attività.
Qui bisognerà presentare la SCIA, ovvero la Segnalazione certificata di inizio attività, almeno 30 giorni prima dell’apertura del locale. La SCIA consiste in un modulo di autocertificazione che il richiedente può reperire presso lo Sportello per le Attività produttive del Comune. Oltre alla SCIA, il ristoratore deve inviare anche la Comunicazione Unica presso la Camera di commercio, anche in via telematica.
Occorrono poi la licenza commerciale che viene rilasciata dall’ufficio del commercio del Comune a seguito di richiesta, l’iscrizione al CONAI, l’autorizzazione dell’insegna e l’autorizzazione della SIAE se il locale prevede anche l’intrattenimento musicale.
Si ricorda che il richiedente deve sempre:
- aprire la partita IVA in forma individuale o costituire una società;
- essere iscritto all’INPS;
- essere iscritto all’INAIL.
Per rispettare gli adempimenti nei tempi richiesti è fortemente consigliato rivolgersi ad un commercialista; infatti se non si rispettano i tempi stabiliti o si salta qualche passaggio si rischia di ritardare - anche di molto - l’apertura del locale o di incorrere in sanzioni.
Licenza, quali requisiti servono
La licenza di ristorazione non viene concessa a tutti. Occorre soddisfare precisi requisiti:
maggiore età;
- non essere falliti o interdetti;
- essere in possesso dell’abilitazione per la somministrazione di alimenti e bevande (SAB).
Anche il locale dove si vuole aprire l’attività di ristorazione deve rispettare delle condizioni stabilite dalla legge. Precisamente:
- presenza del bagno (uno per i clienti e uno per i dipendenti), l’isolamento acustico, l’uscita di sicurezza e le caratteristiche richieste in base alla tipologia di locale;
- presenza del piano HACCP;
- idoneità sanitaria rilasciata dall’ASL locale.
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