Non sempre la sospensione di un lavoratore non vaccinato è legittima: ecco cosa ha stabilito il Tribunale di Milano.
Sono sempre di più i lavoratori che rischiano la sospensione se non vaccinati: dopo medici, infermieri, insegnanti e forze dell’ordine, ecco che dal 15 febbraio 2022 tutti gli Over 50 dovranno restare a casa se non hanno un super green pass.
Per chi non è vaccinato, dunque, scatta la sospensione del rapporto di lavoro, con lo stop alla retribuzione e ad altri emolumenti a questa collegata. Spetta comunque al lavoratore il diritto alla conservazione del posto di lavoro, mentre l’azienda può sostituire il personale non vaccinato con contratti temporanei di massimo 10 giorni rinnovabili fino al 31 marzo 2022.
La sospensione dei lavoratori non vaccinati ha però aperto una serie di discussioni: ad esempio, ci si è chiesti se questa dovesse riguardare anche i lavoratori già in malattia, o comunque quelli che per un’altra serie di motivi hanno già sospeso l’attività lavorativa.
A tal proposito, per capire bene come funziona la sospensione e quando questa potrebbe essere illegittima, può essere utile riprendere un’interessante sentenza che il Tribunale di Milano ha pronunciato lo scorso novembre. Oggetto della contestazione: un’infermiera sospesa perché non vaccinata nonostante questa avesse già sospeso l’attività lavorativa beneficiando dell’aspettativa retribuita riconosciuta dalla legge n°104 del 1992.
Infermiera sospesa perché non vaccinata: la vicenda
La richiesta dell’infermiera al Tribunale di Milano non lascia spazio ad altre interpretazioni: questa, sostenuta dall’avvocato Barbara Monica Manolita Legnani, ha fatto ricorso (con istanza 700 C.p.c) chiedendo l’illegittimità della sospensione per lei disposta in quanto non vaccinata, nonché la corresponsione di tutte le mensilità d’indennità di aspettativa non riconosciute nel frattempo.
L’infermiera ricorrente, infatti, era stata sospesa in quanto non vaccinata e fin qui nulla di strano visto che è la stessa normativa a prevederlo: il problema è che questa aveva già interrotto la propria attività lavorativa godendo nel contempo dell’aspettativa di due anni riconosciuta dalla legge 104/1992. Un’aspettativa che a differenza della sospensione a seguito di mancata vaccinazione è a tutti gli effetti retribuita.
Essere passata da un’aspettativa retribuita a una sospensione senza stipendio ha quindi penalizzato l’infermiera, la quale dunque ha deciso di presentare ricorso contro la decisione del datore di lavoro.
Una situazione propria a molti lavoratori e che dunque merita di essere approfondita in quanto potrebbe rappresentare un importante precedente.
Sospensione illegittima: la sentenza del Tribunale di Milano
Altrettanto chiaro è stato il Tribunale di Milano, il quale ha dato ragione alla ricorrente fissando i termini entro cui deve operare la sospensione.
Nel dettaglio, secondo i giudici è illegittima la sospensione messa in atto nei confronti di un dipendente già sospeso per altre motivazioni. D’altronde, la normativa impone l’obbligo vaccinale ai professionisti sanitari che svolgono concretamente l’attività lavorativa. Non era il caso dell’infermiera del caso di specie, la quale ha ottenuto il diritto alla reintegra della posizione previdenziale sospesa, quindi dell’aspettativa ai sensi della legge 104/1992, nonché il diritto a tutte le mensilità d’indennità di aspettativa non riconosciute a seguito della sospensione.
Sospensione illegittima: la sentenza crea un precedente?
Ricordiamo che la sentenza in oggetto, di cui trovate il testo in allegato, riguarda un caso specifico di una lavoratrice che di fatto aveva già ottenuto un provvedimento di sospensione dell’attività lavorativa fruendo dell’aspettativa retribuita.
Non possiamo, dunque, sapere se i giudici avrebbero deciso ugualmente nel caso in cui a presentare ricorso fosse stato un lavoratore sospeso nonostante fosse già in ferie, o comunque in malattia. Ogni caso è a sé ma sicuramente la sentenza in oggetto rappresenta un importante precedente a cui potrebbero appellarsi altri lavoratori sospesi nonostante non stessero svolgendo concretamente l’attività lavorativa. Vedremo in tal caso quale sarà l’orientamento della giurisprudenza a riguardo.
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