Stop all’esportazione dell’ossido di alluminio dall’Australia alla Russia: quali rischi per l’Italia?

Vincenzo Caccioppoli

30 Marzo 2022 - 12:29

Il governo australiano ha messo al bando la Russia, decidendo di bloccare l’esportazione dell’alluminia (ossido importantissimo per la produzione di alluminio). Cosa succederà?

Stop all’esportazione dell’ossido di alluminio dall’Australia alla Russia: quali rischi per l’Italia?

Giovedì scorso l’alluminio al mercato dei metalli di Londra (LME) ha battuto l’ennesimo record storico, superando di slancio i 3600 dollari a tonnellata, e portando l’aumento di questa preziosissima materia prima a quasi il 60% solo nell’ultimo anno.

Giusto per capirci, nel gennaio del 2021 il prezzo era poco sotto i 2000 dollari a tonnellata, ad agosto del 2020 poco sopra i 1300. Ma tutto ciò potrebbe molto probabilmente peggiorare se la guerra in Ucraina dovesse prolungarsi per molto tempo. La Russia è un grande produttore di alluminio, materiale che per essere prodotto richiede un grande consumo di energia e gas in particolare, di cui la Russia come ben si sa, è uno dei maggiori fornitori al mondo. Ad aggravare il quadro nei giorni scorsi, il bando imposto dal governo australiano alle esportazioni verso l’ex paese sovietico dell’allumina -un ossido utilizzato nel processo di ottenimento dell’alluminio- che ha fatto ulteriormente schizzare i prezzi, mettendo sotto forte pressione il gigante dell’alluminio United Co.Rusal International PJSC, che da solo fornisce circa il 6% dell’alluminio a livello globale, ed ha una partecipazione del 20% in Queensland Alumina Ltd., gestita dal colosso minerario Rio Tinto Group.

Il portavoce australiano della Rio Tinto, ha confermato che la società avrebbe rispettato in toto le decisione del governo di Canberra. L’Australia esporta in Russia circa il 20% dell’ingrediente necessario per produrre alluminio. Il bando australiano verso la Russia è l’ennesima tegola che si abbatte su un settore che sembra non trovare pace da mesi. A febbraio l’importante polo produttivo dell’alluminio cinese Baise aveva interrotto la produzione, a causa dello scoppio di un focolaio di Covid-19, determinando a cascata una forte carenza sulle forniture mondiali del prezioso metallo.

Ma la scarsità della materia prima era un problema emerso ben prima dello scoppio del conflitto in Ucraina, e i suoi prezzi infatti, erano sotto pressione da mesi. I primi grossi problemi si erano verificati, infatti, sempre a causa di un’altra questione di geopolitica internazionale, in occasione del colpo di stato in Guinea a settembre del 2021, uno dei paesi maggiormente ricchi di bauxite, roccia necessaria alla produzione di allumina.

Poco prima era stata la volta della decisione della regione cinese del Guangxi dove si trova anche la città di Baise, di imporre controlli più stringenti sui consumi energetici ad alimentare la speculazione sul metallo. Il Guangxi, infatti, è uno dei poli più importanti della Cina e del mondo per la produzione di alluminio e di allumina. Tutta questa situazione non può non impattare sul settore della lavorazione dell’alluminio, di cui l’Italia è secondo produttore europeo dopo la Germania, soprattutto concentrato nel polo produttivo del bresciano.

La situazione era già piuttosto critica prima - sia per il prezzo della materia prima, che è a livelli record e sia per il costo dell’energia. La guerra in Ucraina non fa altro che aggravare un quadro già assai preoccupante. Noi poi nello specifico, a gennaio avevamo chiusi alcuni contratti importanti in Russia per diversi milioni di euro e avevamo una nostra squadra di tecnici in Bielorussia per completare li un impianto, che abbiamo dovuto far rientrare in tutta fretta, allo scoppio del conflitto”, ha spiegato Luca Lorini, Coo di Turla Rfk, dal 1967 produttrici di impianti di estrusione di alluminio a Paderno Franciacorta.

La situazione insomma rischia di diventare esplosiva per un settore che fattura circa 13 miliardi di euro e annovera oltre 1000 imprese e in Europa è secondo solo alla Germania. Piccole e medie imprese che da anni si battono con coraggio investimenti e innovazioni sui mercati di tutto il mondo, ma che adesso senza un sostegno serio da parte del governo, rischiano di trovarsi in grandissima difficoltà. “ I costi sono più che raddoppiati negli ultimi mesi- continua Lorini- oltre il 90% dei nostri clienti sono all’estero. Siamo come molti altri nostri competitor una piccola azienda, che però riesce da oltre 50 anni a farsi valere sui mercati di mezzo mondo. Dall’Australia, agli Stati Uniti al sudamerica fino al medio oriente".

Come se non bastasse tutto ciò il settore deve ancora ammortizzare le conseguenze della politica dei dazi reciproci tra Usa e Ue iniziata nel 2018 dal presidente Trump, che hanno riguardato anche l’alluminio (10% sull’alluminio importato negli Usa), che sono stati tolti solo a ottobre del 2021.

Scelte che si sono dimostrate poco lungimiranti, considerando che l’alluminio è l’unico materiale al mondo completamente riciclabile e riutilizzabile e che in un’ottica di sempre maggiore sostenibilità e circolarità nell’economia diventerà sempre più centrale. Un solo dato può servire a capire la portata dell’alluminio: il settore automotive ha aumentato in soli due anni di circa il 30% l’impiego dell’alluminio sulle auto prodotte. Ecco perché quello che sta accadendo ai prezzi della materia prima potrebbe avere effetti molto più pesanti sull’economia, di quanto si possa pensare.

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