La rivoluzione (verde) è un pranzo di gala. Per questo, l’Ue esenta gli yacht dal piano CO2, mentre i governi impongono cap alle utilities. E la crisi energetica offre agli Usa l’occasione del secolo
Ogni situazione presenta il rovescio della medaglia. La farsa e la tragedia. In questo caso, terribilmente correlate. Terribilmente vicine.
Dopo aver esentato i jet privati dal piano relativo alle emissioni inquinanti, nonostante i medesimi mezzi di trasporto avessero fatto registrare un’impennata nel contributo di CO2 del 31% fra il 2005 e il 2019, l’Unione Europea si appresta a smentire ulteriormente il comandante Mao Tse Tung e la sua massima più nota: la rivoluzione (green) è un pranzo di gala. E come tale, necessita di alcuni privilegi. Ecco quindi che questi grafici
mostrano quanto appena denunciato dall’Ong Transport & Environment: dopo il cielo, il mare. Le esenzioni alle emissioni navali appena presentate, infatti, si sostanziano in un buco da 25 milioni di tonnellate di CO2 l’anno. Quanto prodotto dalla Danimarca.
Non saranno infatti toccate dal nuovo ETS europeo navi con stazza lorda inferiore a 5000 tonnellate, quindi quelle impegnate nel comparto ittico, così come le navi militari. Ma anche gli yacht e, guarda caso, le imbarcazioni di supporto alle infrastrutture del gas e del petrolio. Dire che siamo precipitati nel ridicolo assoluto appare un garbato eufemismo. Insomma, Greta - come il paradiso di Warren Beatty - può attendere. Perché tre quarti del Vecchio Continente sta facendo i conti con governi disperati nel reperimento di extra-fondi per finanziare ristori e supporti al caro-bollette che sta massacrando famiglie e imprese, soprattutto le medio-piccole.
Italia in testa, tanto che in seno al governo si sta ampliando la frattura fra chi, come i Cinque Stelle, invoca un nuovo scostamento di bilancio dopo l’elezione per il Colle e chi come la Lega vorrebbe invece che si anticipassero i tempi a prima della maratona prevista dal 24 gennaio. In mezzo, un Mario Draghi sempre più preoccupato. Anche perché questo grafico
mostra quale sia il rischio all’orizzonte, il più classico degli effetti collaterali: alla notizia della volontà del governo francese di imporre un cap sul prezzo alla controllata utility energetica EDF, il titolo di quest’ultima è letteralmente sprofondato. D’altronde, la mossa ha grande appeal populista nel mostrare all’opinione pubblica come il potere sappia difenderlo dai rincari (soprattutto a tre mesi dalle presidenziali), peccato che si sostanzi in un costo potenziale per l’azienda quantificato in circa 8,8 miliardi di dollari. La conseguenza? JP Morgan non ha dubbi: EDF dovrà ricorrere a un aumento di capitale sul mercato secondario per mitigare le perdite correlate a una vendita di energia a prezzo calmierato.
E stiamo parlando della Francia, la regina del nucleare pulito a utilizzo civile. Guarda caso, questi due grafici
mostrano un qualcosa di decisamente preoccupante per il nuovo governo tedesco: a fronte della decisione inversa di Berlino, ovvero la chiusura entro quest’anno di tutte le centrali e un caro-elettricità ormai insostenibile, ecco che il 60% dei tedeschi (57% all’Ovest e 70% all’Est) si è detto favorevole all’utilizzo di Nord Stream 2, il medesimo progetto infrastrutturale che la nuova coalizione a guida SPD ha messo in stand-by fino a luglio, bloccando le concessioni. E non stupisce come soltanto l’elettorato dei Verdi sia contrario, mentre il via libera trova favorevoli i 2/3 dei sostenitori di CDU, SPD e Liberali.
L’Italia, in tal contesto, attende inerme lo tsunami alle porte. Ma se fin qui siamo alla farsa di governi e governanti che per mesi si sono fatti ideologicamente dettare l’agenda da una 16enne svedese, impiegando energie di propaganda senza pari per appuntamenti da photo opportunity globale come COP26, altrove si stagliano i profili della tragedia. Perché se la Russia tace, da quattro giorni l’America sta operando come se una guerra contro Mosca fosse ormai non solo ineluttabile ma imminente. Non solo le autorità di Washington hanno avviato contatti con i big energetici globali per tastare il terreno rispetto alle criticità connesse all’approvvigionamento energetico dell’UE in caso di conflitto ma parlano a chiare lettere di possibile sostegno diretto alla rivolta in Ucraina, se davvero Mosca intendesse dar vita all’invasione.
Il tutto correlato da report di intelligence e fonti più o meno anonime che parlano di mezzi pesanti già in marcia verso il confine e false flag in preparazione nel Donbass per generare il casus belli. La ragione? Duplice. Anzi, triplice. Primo, creare i presupposti per strappare l’Europa alla dipendenza energetica dalla Russia, mossa già sostanziatasi con la decisione di inviare una flottiglia di tankers originariamente diretti in Asia verso l’Ue, al fine di supplire al taglio dei flussi di Gazprom. Secondo, come mostra questo grafico,
ribadire attraverso l’interventismo bellico, politico e da utility globale lo status di valuta benchmark mondiale del dollaro, sempre più messo in discussione da un euro accettato come moneta di pagamento proprio dai grandi player dell’Est, Russia, Cina e India. Stop al bypass del biglietto verde, quindi.
Terzo, lo mostra questa immagine
di scaffali sconsolatamente vuoti in un supermarket della catena Stew Leonard’s in Connecticut e pubblicata non da un blog complottista ma dal Wall Street Journal: sempre più punti vendita in America faticano a tenere aperto a causa del combinato di mancanza degli approvvigionamenti e sickouts dei dipendenti per contagi di massa da Omicron. Di fatto, immagini che rimandano già alle privazioni e ai razionamenti da periodo bellico. La nuova emergenza è servita, il Covid può lasciare spazio al moltiplicatore del Pil per antonomasia, il warfare? Così sembra. Quale sia il livello di innalzamento dell’asticella di rischio di una simile strategia, però, appare chiaro. Siamo al Dottor Stranamore, ormai. Cavalchiamo il missile.
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