Vi sono diverse ragioni per cui è preferibile che il lavoratore subordinato assegni il TFR alla previdenza complementare. Ecco quali sono.
Per tutti i lavoratori subordinati è previsto il cosiddetto TFR, ossia il trattamento di fine rapporto. Fondamentalmente, si tratta di una prestazione economica che è assegnata al lavoratore dipendente nel momento di cessazione del rapporto di lavoro, al di là del motivo per cui questo avvenga (dimissioni, licenziamento, raggiungimento dell’età della pensione).
Ai lavoratori subordinati spetta la scelta sul TFR, ossia sulla sua destinazione. Possono infatti decidere di lasciarlo in azienda, oppure possono destinare il trattamento di fine rapporto alla previdenza complementare.
La scelta di lasciare il TFR in azienda o farlo confluire in un fondo pensione è molto rilevante per il lavoratore dipendente, in quanto c’è di mezzo il futuro proprio e della propria famiglia. In gioco c’è altresì la possibilità di far fruttare questo capitale accumulato, lavorando giorno dopo giorno.
Due, in particolare, gli elementi oggettivi che il lavoratore deve considerare per compiere una scelta personale consapevole: tassazione e rendimento. Vedremo tutti questi aspetti, anticipando però che in concreto vi sono più ragioni per cui la scelta del TFR nel fondo pensione risulta preferibile.
Che cos’è il TFR: il contesto giuridico di riferimento
Il TFR, acronimo di trattamento di fine Rapporto, è regolato dall’art. 2120 del Codice Civile, che dispone quanto segue:
“In ogni caso di cessazione del rapporto di lavoro subordinato, il prestatore di lavoro ha diritto a un trattamento di fine rapporto. Tale trattamento si calcola sommando per ciascun anno di servizio una quota pari e comunque non superiore all’importo della retribuzione dovuta per l’anno stesso divisa per 13,5. La quota è proporzionalmente ridotta per le frazioni di anno, computandosi come mese intero le frazioni di mese uguali o superiori a 15 giorni.”
In sostanza, il TFR consiste nell’equivalente di uno stipendio all’anno, messo da parte dal datore di lavoro o destinato a un fondo pensione, allo scopo di ’rafforzare’ la previdenza complementare del lavoratore. Il trattamento di fine rapporto rappresenta di fatto un vero e proprio «tesoretto», che cresce nel corso degli anni di lavoro per tutti i lavoratori dipendenti.
TFR in azienda o nel fondo pensione: la scelta
Il lavoratore subordinato può scegliere che cosa fare del TFR, tra due diverse opzioni:
- tenere il TFR in azienda e ritirarlo al termine del rapporto di lavoro;
- destinarlo a un fondo pensione, per contribuire alla propria previdenza complementare, la quale sarà di integrazione rispetto all’assegno pensionistico al momento della definitiva uscita dal mercato del lavoro.
I lavoratori dipendenti devono fare la scelta sulla destinazione del TFR entro sei mesi dall’assunzione. C’è da considerare anche che l’interessato può destinare il TFR a un fondo privato, scegliendo perciò con assoluta libertà l’adesione a un fondo pensione aperto o un PIP (piano individuale pensionistico) e non necessariamente a un fondo chiuso di categoria.
Inoltre, la scadenza della scelta sul TFR da fare entro i sei mesi dall’assunzione vale esclusivamente rispetto all’accantonamento del TFR in azienda. Invece, il lavoratore dipendente può sempre cambiare idea circa la destinazione del TFR nel fondo pensione.
TFR nel fondo pensione: tutti i motivi per fare questa scelta
Vi sono diverse ragioni per cui, in concreto, la scelta di destinare il TFR alla previdenza complementare risulta preferibile e più conveniente. Eccole in sintesi:
- Negli ultimi anni, il mercato del lavoro è mutato profondamente. Oggi le persone cambiano lavoro più volte nella loro vita e il posto fisso è sempre più raro. Ecco perché l’ammontare del TFR lasciato in azienda potrebbe non essere più il risultato di un accumulo di vent’anni o più di lavoro, come succedeva in passato. Ed è da notare che a ogni cambio di lavoro il TFR viene liquidato e tassato se lasciato in azienda. Insomma, in una prospettiva di risparmio per il futuro, il motto “pochi, subito e per di più tassati” non è la soluzione che si lascia preferire;
- La tassazione del TFR in azienda è maggiore. Infatti, sussiste un diverso trattamento fiscale, che privilegia il versamento a un fondo pensione. Il TFR in azienda subirà una tassazione minima del 23%, che non sarà effettuata subito, ma quando il lavoratore dipendente lo riceverà come liquidazione al termine del rapporto di lavoro. Nell’ipotesi del TFR nel fondo pensione, anche qui non vi sarà tassazione immediata ma soltanto al momento in cui il lavoratore lo riceverà come prestazione. In ogni caso, la tassazione qui oscilla da un massimo del 15% a un minimo del 9% (ciò in rapporto al numero di anni di iscrizione alla previdenza integrativa);
- Tendenzialmente, il TFR versato in previdenza complementare rende di più rispetto all’ipotesi di lasciarlo in azienda;
- Il fondo pensione non è pignorabile, infatti le posizioni individuali costituite presso i fondi pensione sono inattaccabili dai creditori. Perciò sia i contributi personali che le possibili quote del TFR non sono mai soggetti a sequestro e pignoramento;
- Se il TFR confluisce in un fondo pensione, la previdenza integrativa consente maggior flessibilità per quanto riguarda l’anticipazione del TFR.
Come si può agevolmente notare, sono dunque distinte le ragioni che giocano a favore del TFR in previdenza complementare. Il lavoratore subordinato farà dunque bene a valutarle, prima di effettuare la sua scelta.
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