Pensione e redditi da attività lavorativa non sono sempre cumulabili al 100%: ecco in quali casi scatta una riduzione e quando invece la pensione viene sospesa.
Non sempre la pensione è cumulabile con l’attività lavorativa: in alcune situazioni, infatti, sull’assegno pensionistico scatta una riduzione variabile a seconda del reddito percepito e della tipologia dell’attività lavorativa svolta.
Va detto che non esiste più da qualche anno la regola che riduce tutte le pensioni di coloro che svolgono nel frattempo attività lavorativa. Esiste, infatti, un prima e un dopo 2008:
- prima di questa data non era possibile cumulare al 100% i redditi da pensione con quelli provenienti da attività lavorativa, con l’assegno pensionistico che veniva decurtato - con una modalità differente a seconda della tipologia del trattamento riconosciuto - tenendo conto dei redditi da lavoro prodotti nel corso dell’anno;
- successivamente è possibile cumulare pensione e redditi da lavoro, senza alcun limite, eccetto che in determinate circostanze.
Vediamo, dunque, quando opera il taglio della pensione per attività lavorativa, e quando invece i due redditi sono totalmente incompatibili tra loro.
Riduzione pensione per attività lavorativa: quali sono i trattamenti interessati
Dal 2008, dunque, solamente alcuni trattamenti previdenziali non possono essere cumulati al 100% con i redditi da pensione, facendo così scattare una riduzione dell’assegno pensionistico.
È il caso, ad esempio, dell’assegno ordinario d’invalidità, ossia quella prestazione di natura previdenziale disciplinata dalla legge 222/1984 riconosciuta a coloro ai quali è stata accertata una riduzione della capacità lavorativa a meno di un terzo (a causa di un’infermità o di un difetto fisico o mentale) e che possono vantare almeno 260 contributi settimanali (quindi 5 anni), di cui almeno 156 settimane (3 anni) nell’ultimo quinquennio.
A questi viene riconosciuta una pensione calcolata secondo le regole vigenti, con la differenza però che l’importo spettante non è cumulabile al 100% con quanto percepito dall’attività lavorativa. Nel dettaglio, in tale caso opera una riduzione che tiene conto della misura dei redditi da lavoro. Nel dettaglio:
- taglio del 25% se il reddito da lavoro è superiore a 4 volte il trattamento minimo. Nel 2022, dunque, la soglia da non superare è pari a 2.095,32€;
- taglio del 50% se il reddito da lavoro è superiore a 5 volte il trattamento minimo, ossia 2.619,15€ per l’anno corrente;
Sulla parte eccedente il trattamento minimo, inoltre, l’assegno ordinario d’invalidità può subire una seconda decurtazione, pari al 50% nel caso di redditi da lavoro dipendente e del 30% per il reddito da attività di lavoro autonomo.
Ma non c’è solamente l’AOI ad essere soggetto a riduzione. Vale anche per pensioni d’invalidità e di inabilità specifiche, come può essere ad esempio la pensione per inabilità alle mansioni o a proficuo lavoro. In tal caso si applica però un sistema di decurtazione differente, in quanto scatta solamente il secondo taglio suddetto.
Sulla parte eccedente il trattamento minimo - 523,83€ nel 2022 - si applica un taglio che va dal 30% al 50% a seconda che si tratti rispettivamente di redditi da lavoro autonomo o dipendente.
In entrambi i casi, la seconda riduzione deve seguire determinate regole. Ad esempio, questa non può comunque superare l’importo del reddito percepito; inoltre, non opera nei confronti di quei lavoratori che possono vantare almeno 40 anni di contributi.
Abbiamo poi un’altra tipologia di pensioni soggetta a taglio in presenza di altri redditi. Si tratta della pensione ai superstiti, conosciuta anche come pensione di reversibilità. Il titolare della pensione di reversibilità, infatti, in presenza di altri redditi subirà una riduzione pari al:
- 25% se il reddito del pensionato è superiore a 3 volte il trattamento minimo, quindi 1.571,49€ nel 2022;
- 40% se il reddito del pensionato è superiore a 4 volte il trattamento minimo, quindi 2.095,32€ nel 2022;
- 50% se il reddito del pensionato è superiore a 5 volte il trattamento minimo, ossia 2.619,15€ nel 2022.
Quando la pensione viene sospesa per chi lavora
Ci sono delle tipologie di pensione che invece non sono per nulla cumulabili con i redditi da lavoro. Nel caso si dia avvio a un’attività lavorativa, dunque, il diritto al trattamento previdenziale sarebbe sospeso.
Vale ad esempio per quei lavoratori precoci che accedono alla pensione con Quota 41, ossia con soli 41 anni di contributi: questi non possono avviare un’attività lavorativa fino al momento in cui sarebbero stati maturati i requisiti per l’accesso alla pensione anticipata ordinaria. Di fatto, il divieto di cumulo vale per 10 mesi nel caso delle donne (le quali raggiungono il diritto alla pensione anticipata con 41 anni e 10 mesi di contributi), e per 1 anno e 10 mesi nel caso degli uomini (42 anni e 10 mesi di contributi per accedere alla pensione anticipata).
Lo stesso vale per la nuova Quota 102, la quale ha ereditato il meccanismo già in vigore per Quota 100 con il quale viene vietato lo svolgimento di un’attività lavorativa fino al compimento dell’età prevista per l’accesso alla pensione di vecchiaia, quindi fino a 67 anni. Le uniche attività consentite sono quelle derivanti da lavoro autonomo occasionale, purché sotto il limite di 5 mila euro annui lordi.
Infine, anche per chi accede all’Ape Sociale vi è un’incompatibilità con lo svolgimento dell’attività lavorativa. Anche in questo caso il limite vale fino al momento in cui di fatto non si matura il diritto alla pensione. L’unica eccezione è rappresentata dai redditi derivanti da lavoro dipendente e collaborazioni purché sotto la soglia degli 8.000,00€, oppure 4.800,00€ nel caso del lavoro autonomo.
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