Hong Kong è crollata per tech e pharma, dopo l’annuncio di Merck. Evergrande sospesa è la contromossa. E mentre Bitcoin segnala un possibile «cigno nero», Taipei ammette: la Cina sta per attaccarci
Wuxi Biologics ha perso l’8.1%, il massimo dal 20 agosto, mentre CSPC Pharmaceutical fino al 7.1%. Nel settore tech, invece, Ping An Healthcare e Alibaba Health hanno raggiunto cali fino al 6% per entrambi. Ecco spiegato lo scivolone dell’indice Hang Seng, l’unico listino cinese aperto durante la Golden Week. Certo, la sospensione dal trading del titolo del property managment di Evergrande ha operato da kicker ma giova ricordare come quello di China Evergrande New Energy Vehicle continui a restare in contrattazione. Non è un allarme sistemico, è un avvertimento mirato.
Un messaggio. Come la notizia di Merck rispetto alla pillola anti-Covid è stata un siluro che, non a caso, ha affondato Hong Kong, picchiando sui settori pharma e tech. Pechino, allora, ha nascosto le carte in vista della prossima mano: il ramo più sensibile di Evergrande, non fosse altro per l’impatto globale del settore real estate cinese e i suoi addentellati finanziari tramite cartolarizzazioni, resterà senza proxy esterni. Le autorità cinesi, ovviamente, saranno informate H24 sugli sviluppi reali, il mondo no. Poiché, almeno formalmente e come percezione, il mercato non avrà più un’azione in negoziazione che operi da cartina di tornasole.
Ormai è guerra. E questo fine settimana lo ha dimostrato. Sta per succedere qualcosa, i sospetti si addensano. Gli indizi si affastellano. Questi grafici
mostrano la reazione pre-sospensione di Evergrande delle criptovalute nella sessione domenicale, dove addirittura il modello stock-to-flow proiettava Bitcoin in area 80.000 dollari entro fine anno. Perché allora la flessione dopo la decisione di Pechino? Quale motivo ci sarebbe di scaricare posizioni su criptovalute, quando la Cina ha già vietato (e, in tutta sincerità, non certo per la prima volta) le transazioni con valute digitali? Forse, Bitcoin e soci stanno segnalando altro.
Come la scorsa primavera erano ritenuti il vero tracciatore del rischio inflazionistico, ben più dell’oro, oggi potrebbero operare come hedging naturale delle mosse delle Banche centrali. E il loro muoversi al netto rialzo dopo l’annuncio di bando del Dragone può voler dire solo due cose: telegrafare un taglio dei tassi da parte della Pboc oppure mettere in guardia da un policy error della Fed in arrivo. Perché per quanto il Congresso abbia dato luce verde al disegno di legge che evita lo shutdown, resta aperto il nodo dirimente del tetto di debito da innalzare entro il 18 di questo mese. La segretaria al Tesoro Usa, Janet Yellen, è stata chiara al riguardo nel corso della sua audizione del 28 settembre: Non alzare il tetto del debito sarebbe catastrofico. Se non si agirà, ci sarà un aumento della disoccupazione e si avranno problemi sui mercati finanziari. Se il tetto del debito non sarà alzato entro il 18 ottobre, gli Stati Uniti potrebbero scivolare in una crisi finanziaria e in recessione economica. Attendere fino all’ultimo minuto può causare seri danni alla fiducia, far alzare i costi per i contribuenti e avere un impatto negativo sul rating degli Stati Uniti per anni.
E se questo grafico
sembra confermare il senso della messa in guardia della ex numero uno della Fed, il mercato sconta da parte sua la convinzione della ciclicità sterile di questo allarme: di fatto, ogni tre-quattro anni compare all’orizzonte lo spauracchio del default statunitense come ombra mitologica da vendere all’opinione pubblica, quasi sempre per preparare il terreno a un accordo dell’ultimo secondo che garantisca un artificiale quanto proverbiale sospiro di sollievo. Ma questo altro grafico
dice dell’altro: qualcuno sta cercando l’incidente controllato per aprire le paratie di nuovo deficit a oltranza? Serve il grande spavento autunnale, così da poter sgravare la Fed dal compito infausto di operare iil più formale e inutile dei tapering e lasciarla libera di continuare a sostenere gli indici?
Da un lato Hong Kong, dall’altro Wall Street. Stessa barricata, fronti opposti. Guerra, insomma. E con una variabile. Tutt’altro che da sottovalutare. Dopo l’incursione di massa di aerei da caccia cinesi in sorvolo su Taiwan di venerdì scorso, il ministro degli Esteri taiwanese, Joseph Wu, ha rilasciato una pesante dichiarazione nel corso del programma China Tonight della ABC in onda ieri: La Cina sta per lanciare un attacco contro Taiwan e noi siamo pronti a combattere fino alla fine, questo è il nostro intendimento. Poi, l’auspicio: In tal senso, vorremmo dar vita a scambi relativi a materie di sicurezza e intelligence con governi di buona volontà, come ad esempio quello australiano, in modo da essere meglio preparati ad affrontare uno scenario di guerra. Ogni riferimento al patto trilaterale Aukus fra Usa, Gran Bretagna e Australia è puramente voluto.
Parole come macigni. Forse, sta avvicinandosi il momento che Louis Stevenson descriveva in questo modo: Tutti, prima o poi, siedono a un banchetto di conseguenze. In questo caso e visti gli invitati, un vero e proprio galà. Una purga per dieci anni di Qe globale che potrebbe passare da un crash epocale. O, peggio, dal rischio di un devastante conflitto. Più o meno realmente guerreggiato. In alternativa, si può continuare a pensare che tutti tremori sotterranei che il mercato sta inviando siano colpa di Evergrande. Rassicurante, in effetti, alla luce delle altre ipotesi.
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