L’impennata del titolo GameStop sull’onda di un improvviso short squeeze ha riaperto il dibattito sulle vendite allo scoperto: un gioco per professionisti, secondo gli analisti, che può portare ad enormi perdite.
Quali sono i rischi dello short selling? Un dibattito, questo, che sembra ora tornare in voga dopo il rialzo (monstre) del titolo GameStop, le cui azioni rappresentano da sempre uno degli short target più amati da Wall Street.
Ma di cosa parliamo esattamente? Alcuni investitori, noti come short seller (venditori allo scoperto), prendono in prestito delle azioni per poi venderle e riacquistarle, sperando in un movimento ribassista del mercato che permetta di incamerare profitti.
Tuttavia, al contrario delle operazioni di trading ordinarie – che vedono gli investitori esporsi, nel peggiore dei casi, alla perdita dell’investimento – i rischi dello short selling sono molto alti: i titoli shortati, infatti, possono cavalcare potenzialmente un trend di crescita senza fine, costringendo i venditori allo scoperto a chiudere la loro posizione short prima che la perdita superi la propria disponibilità. Ma il rischio di rimanere al verde, in caso di brusche accelerazioni delle azioni shortate, è elevato.
I rischi dello short selling: il caso GameStop
Sotto i riflettori, dunque, il titolo GameStop: nelle prime settimane di gennaio, l’azienda USA ha pubblicato i risultati relativi alle vendite del 2020 e annunciato l’ingresso di tre manager di RC Venture nel board.
Fattori incoraggianti, che pure non possono spiegare il rialzo vertiginoso del titolo dall’inizio dell’anno (+685%), con una market cap ora superiore ai 10 miliardi di dollari. Cosa è successo? Una fronda di piccoli risparmiatori, riunitasi su Reddit, ha deciso di scommettere sul titolo, cercando di rompere l’ingranaggio finanziario.
I venditori allo scoperto, che fino a pochi giorni fa shortavano il 138% delle azioni GameStop, sono stati sbalzati così al di fuori del mercato, in un fenomeno noto come short squeeze. In sintesi, per contenere le perdite, i vecchi lupi di Wall Street hanno dovuto chiudere alla svelta le loro posizioni short, finendo per alimentare ulteriormente il rally del titolo.
Una sorta di riedizione, in salsa finanziaria, di Davide contro Golia: piccoli risparmiatori, ben organizzati, che assediano i veditori short di lungo corso, in un braccio di ferro che vede – al momento – i primi spodestare i secondi.
Secondo Brad Lamendsorf, CEO di ActiveAlts, questa tendenza è dovuta al “maggiore coinvolgimento delle persone in ambito finanziario”, e a pagarne il conto potrebbero essere proprio gli investitori che shortano le small e mid cap sul mercato.
Meno rischi con le big cap
Il discorso cambia, tuttavia, quando ci si muove verso le big cap, ovvero i titoli che presentano un’alta capitalizzazione di mercato. La market cap (enorme) di alcune aziende, infatti, difende gli short seller dalle incursioni di investitori non professionisti, quest’ultime tese ad invertire i trend borsistici.
L’8% delle azioni Tesla – al primo posto nella classifica degli short target dell’S&P Composite 1500 – viene oggi venduto allo scoperto, ma, considerata la market cap della creatura green di Elon Musk (837 miliardi di dollari), si tratta di un volume troppo elevato per soffrire le strategie dei piccoli risparmiatori del web.
Stesso discorso per altri giganti tech USA, come Apple e Amazon, rispettivamente al secondo e al terzo posto nella graduatoria delle posizioni short sull’indice: di 12,9 miliardi di dollari il valore delle azioni del gigante di Cupertino che vengono attualmente shortate, mentre il colosso di Bezos vede l’1% delle sue azioni – circa 12,7 miliardi – vendute allo scoperto a Wall Street.
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