Erroneamente molti ritengono che il pagamento delle cartelle esattoriali implichi l’acquiescenza e la rinuncia alla contestazione, ma la Corte di Cassazione sottolinea che non sempre è così.
La legge di bilancio 2023 prevede in molti casi la possibilità di regolarizzare i rapporti con il Fisco attraverso forme di agevolazione. Alcune disposizioni fanno riferimento ad atti dell’amministrazione erariale nei cui confronti si sia manifestata acquiescenza, ma cos’è e quando si verifica l’acquiescenza a una cartella esattoriale?
Cartelle esattoriali: cos’è l’acquiescenza e quando si verifica?
Nel momento in cui al contribuente viene notificata una cartella esattoriale questi ha due possibilità: può proporre ricorso per i vizi della stessa, materiali o formali, oppure perché ritiene di non dover pagare gli importi o doverli pagare in misura minore, oppure può avere un comportamento acquiescente non proponendo l’azione o pagando l’importo.
Il termine acquiescenza dal punto di vista giuridico vuol dire “accettazione di un provvedimento da parte del destinatario e dunque la rinuncia di quest’ultimo ad avvalersi dei mezzi di impugnazione previsti per legge”.
Dovendo quindi delimitare i tempi in cui si verifica l’acquiescenza delle cartelle esattoriali, si ritiene generalmente che questi maturino trascorsi i termini per l’impugnare l’atto oppure al pagamento del dovuto.
Dal punto di vista tecnico si verifica l’acquiescenza alla pretesa erariale quando vi sia un inequivocabile comportamento di accettazione del debito ed espressa volontà di non impugnare l’atto. Questo non implica che sia avvenuto il pagamento (si può riconoscere la fondatezza della cartella e non pagare, ad esempio in caso di mancanza di liquidità), inoltre non sempre il pagamento realizza questa condizione, cioè l’accettazione del debito.
Ricordiamo che una particolare tipologia di acquiescenza si ha nel caso in cui il contribuente si avvalga della possibilità di “stipulare accordi” con l’amministrazione finanziaria, ad esempio nel caso in cui richieda di accedere a un accertamento con adesione, oppure a un provvedimento di pace fiscale.
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Il pagamento non sempre implica l’acquiescenza delle cartelle esattoriali
Si è detto che il pagamento della pretesa erariale costituisce acquiescenza, questa è appunto la regola generale, ma vi sono diverse sentenze che ammettono il caso contrario. Una delle pronunce più importanti è la sentenza 3347 del 2017 della Corte di Cassazione, in essa viene ribadito che
Costituisce principio generale nel diritto tributario che non si possa attribuire al puro e semplice riconoscimento, esplicito o implicito, fatto dal contribuente d’essere tenuto al pagamento di un tributo e contenuto in atti della procedura di accertamento e di riscossione (denunce, adesioni, pagamenti, domande di rateizzazione o di altri benefici), l’effetto di precludere ogni contestazione.
La Corte di Cassazione ha ribadito tale orientamento nella sentenza 2231/2018 sottolineando che non sempre il pagamento postuli l’acquiescenza alla cartella esattoriale, infatti nel caso in cui il pagamento sia stato eseguito nel timore di una esecuzione forzata sui propri beni o sui beni dell’azienda, non c’è un vero e proprio riconoscimento della pretesa erariale.
Dello stesso tenore l’ordinanza della Corte di Cassazione n.20962 del 2020.Nel caso sottoposto alla Corte di Cassazione, una società acquirente, dopo aver ricevuto una cartella esattoriale (come responsabile in solido con la società cedente) per debiti Irap, ritenute alla fonte, addizionali relative al 2011 in cui veniva intimato l’esproprio in caso di mancato pagamento, aveva proposto ricorso e appena dopo aveva versato quanto contestato.
Il pagamento, come ribadito davanti ai vari giudici, aveva l’unico obiettivo di bloccare la procedura esecutiva e non voleva essere una rinuncia agli atti di giudizio già avviati.
Nel caso in oggetto i giudici di primo e secondo grado avevano rigettato il ricorso, senza entrare nel merito del giudizio, sottolineando proprio che il pagamento aveva fatto maturare l’acquiescenza alla pretesa erariale. Il ricorrente sottolineava nelle varie sedi che il pagamento non era avvenuto per riconoscimento del debito fiscale, ma allo scopo di evitare successivi procedimenti espropriativi.
La Corte di Cassazione ha sposato la tesi del ricorrente e sottolineato che non solo il pagamento degli importi, ma anche la richiesta di rateizzazione degli stessi non implicano acquiescenza nel caso in cui il pagamento non sia spontaneo bensì coatto in quanto teso a evitare ulteriori conseguenze gravose, anche dal punto di vista economico, come appunto le conseguenze di un esproprio. Gli atti sono quindi rinviati per la trattazione nel merito.
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