L’europarlamentare sarà tra gli ospiti del convegno organizzato da Money, Parlamento europeo e Centergross Bologna.
Un futuro sostenibile anche per il tessile, settore che per eccellenza rimanda al consumismo sfrenato. Capi usa e getta, dopo neanche una stagione già passata di moda; cataste che si ingrossano, accumulando abiti di cui nessuno ha più bisogno - e neppure i cosiddetti poveri del Terzo Mondo, dove vengono inviati più per fare bene a se stessi che agli altri. Inquinano con la loro presenza ingombrante, ma anche con materiali trattati senza garanzia di sicurezza per la salute di chi li produce e chi li indosserà, da lavoratori che operano in condizioni precarie, con sostanze chimiche che non rispettano l’uomo né l’ambiente. È una guerra contro il fast fashion, quella che il mondo si appresta a compiere stavolta per davvero e di cui Bologna è pronta a parlare, venerdì 27 ottobre a Centergross, in un evento organizzato da Money.it e Parlamento europeo dove approfondire “La strategia dell’UE per un tessile sostenibile e circolare”. In collegamento l’onorevole Alessandra Moretti, eurodeputata del Partito Democratico e membro della commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare, al lavoro su un regolamento per la progettazione ecocompatibile di prodotti sostenibili.
Moda e sostenibile: è davvero possibile? Non è una contraddizione in termini, là dove la moda pretendere di essere passeggera e cambiare le abitudini dei consumatori?
“L’intento che ha animato l’Unione Europea nel delineare il regolamento sull’Ecodesign e la produzione sostenibile è proprio quello di convertire le abitudini e aiutare il consumatore a passare dal fast fashion a un fashion di qualità. Un discorso analogo a quello che riguarda il cibo, con l’obiettivo ultimo di una qualità a prezzi sostenibili. Ogni anno, in Europa, vengano buttati 12 chili di vestiti a testa. Tutto questo genera inquinamento. Senza usare ipocrisia, sappiamo che sono i Paesi più poveri a farne le spese maggiori: Ghana, Bangladesh, Cile. Il sovraconsumo del settore sta generando un danno immenso al pianeta, nell’indifferenza più o meno della maggioranza. Questa è la ragione per cui anche la moda è chiamata a diventare sostenibile”.
Che cosa si intende per sostenibilità, nel settore tessile?
“Si intende l’intero ciclo di vita del prodotto, a cominciare dal modo in cui viene progettato per arrivare al fine vita. Si tratta anzitutto di creare e immettere sul mercato prodotti conformi a requisiti specifici, che rispettino l’ambiente e la salute, realizzati senza spreco energetico e con una qualità tale da garantirne la riparabilità e il riutilizzo. In questo senso, il consumatore è invitato a diventare più consapevole di ciò che acquista”.
Qual è l’anello più debole della catena?
“La Corte dei Conti Europea ha indicato che, finora, le strategie messe in atto hanno avuto un impatto modesto. Il regolamento europeo ha proprio l’obiettivo di invertire questa tendenza, dedicandosi non solo alla gestione del rifiuto ma a una progettazione circolare in cui l’eco-design abbia un ruolo di primo piano”.
C’è qualcosa da correggere?
“Sicuramente, le condizioni di lavoro necessitano di essere riviste. Sappiamo che si tratta in prevalenza di donne, che vivono e operano in condizioni inferiori ai parametri di sussistenza. Non possiamo più consentire che si verifichino tragedie come quella di dieci anni fa in Bangladesh, quando il crollo del Rana Plaza ha causato la morte di oltre mille persone”.
Già, ma dove sta la responsabilità? Si può agire a livello globale o resta una scelta «individuale»?
“Dobbiamo lavorare tutti insieme, a livello globale. Non a caso, in quella parte del regolamento che si dedica della sostenibilità sociale, c’è l’invito alla Commissione europea affinché si occupi, nel prossimo futuro, non solo della sostenibilità ambientale dei prodotti, ma anche di quella sociale.”
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Riciclare o riutilizzare: qual è il loro peso e che cosa è più auspicabile?
“Nel settore della moda si tende a comprare a buttare, in un circolo senza fine. Il valore dei prodotti invenduti, destinati a essere distrutti, è notevole e genera un problema ambientale rilevante, accentuato dalla crescita esponenziale delle vendite online. Il regolamento europeo vuole essere un punto di svolta. L’intento è di trasformare i prodotti tessili giunti al fine vita non in rifiuti, ma in risorse da riutilizzare”.
La sostenibilità però ha un prezzo: chi lo paga?
“L’Ecodesign deve influenzare il modo di progettare e produrre” beni in favore del consumatore, generando una trasformazione in uno stile di vita dove sia anche il consumatore a preoccuparsi della salvaguardia dell’ambiente”.
La sostenibilità può diventare un fattore socialmente discriminante?
“Non se si comprende l’importanza di una scelta consapevole, che semplicemente cambia approccio ed equilibri. Il regolamento ha direi proprio l’ambizione di cambiare la cultura e le abitudini della gente: compro meno, ma compro meglio”.
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