Con inflazione all’11,90% diventa impellente il problema del drenaggio fiscale che porta a un aumento della pressione fiscale. Come è stato affrontato in passato il fiscal drag?
L’inflazione nel mese di ottobre ha sfiorato il 12%, toccando per la precisione l’11,90%, una percentuale altissima, record dal 1984. L’inflazione è determinata dall’aumento generalizzato dei prezzi in assenza di aumenti di reddito reale. Diminuisce il potere di acquisto, ma non è questo il solo effetto determinato dalla situazione attuale, infatti si verifica anche il drenaggio fiscale, o fiscal drag, cioè l’aumento della pressione fiscale pur restando invariate le aliquote delle imposte dirette (che colpiscono la ricchezza in modo diretto) e in particolare l’Irpef. Perché succede questo?
Cos’è il drenaggio fiscale?
Per capire come nasce il fiscal drag, o drenaggio fiscale è necessario capire di cosa si tratta. È un fenomeno tipico dei sistemi di tassazione progressiva sottoposti a inflazione. L’inflazione è caratterizzata dall’aumento generalizzato dei prezzi, a cui consegue un aumento dei redditi, ma la crescita del reddito è nominale e non reale. Nell’attuale situazione la crescita dei salari è comunque inferiore rispetto alla crescita dei prezzi, quindi si può dire che c’è una doppia erosione: una determinata dal fiscal drag e l’altra dal potere di acquisto ridotto.
L’aumento di reddito nominale in molti casi porta anche al superamento dello scaglione dell’aliquota fiscale e quindi cresce l’imposizione fiscale spesso in modo anche rilevante, ma di fatto il potere di acquisto non cambia o peggiora.
Simulazione drenaggio fiscale
Una simulazione sugli effetti del drenaggio fiscale è stata effettuata dall’Osservatorio dei Conti Pubblici Italiani, OCPI. Questa simulazione è basata su due presupposti, cioè inflazione al 6% e stipendi che aumentano in maniera corrispondente, quindi il reddito reale resta identico. La simulazione è stata fatta su un lavoratore che nel 2021 ha percepito 14.950 euro, rientrante nella fascia Irpef per i redditi fino a 15.000.
Lo stesso lavoratore nel 2022, se lo stipendio sale come l’inflazione, guadagnerà 15.847 euro (=14.950 x (1+0,06)). Il contribuente “tipo” per i redditi compresi tra 0 e 15.000 euro pagherà il 23%, mentre per le somme eccedenti tale limite, pagherà il 25%. Il gettito extra per lo Stato, ovvero il Fiscal Drag, sarà pari a 17 euro: la differenza tra l’imposta pagata nel 2022 (15.000 x 0,23 + 847 x 0,25 = 3.662) e quella pagata nel 2022 se il contribuente non fosse passato allo scaglione successivo (15.847x 0,23 = 3.645).
La simulazione è però molto limitata, infatti il reddito medio degli italiani è di 21.570 euro, quindi si può ipotizzare che il peso del drenaggio fiscale sarà molto più alto e potrebbe portare molti contribuenti attualmente ricadenti nella seconda fascia a superarla, arrivando alla terza con aliquota al 35%.
Naturalmente si tratta solo di un esempio e di fatto rispetto al 6% ipotizzato dallo studio in esame, condotto ad aprile 2022, siamo già molto oltre. Considerando che attualmente i redditi non sono stati del tutto adeguati all’inflazione, ma comunque un piccolo adeguamento c’è, basti pensare a quello relativo alle pensioni, che sono state già adeguate nel mese di ottobre e avranno un ulteriore adeguamento a gennaio 2023 e al rinnovo di alcuni contratti, diventa semplice capire che a fronte di un adeguamento limitato dei redditi, vi sarà un aumento delle imposte da pagare più che proporzionale.
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L’Osservatorio ha già stimato il valore del fiscal drag relativo ai dati pubblicati nelle dichiarazioni fiscali dei lavoratori dipendenti del 2019, l’extra gettito legato al fiscal drag oscilla tra i 89 e 142 milioni di euro, a seconda dello scenario di inflazione.
In particolare con:
- inflazione al 5,5% il drenaggio fiscale ammonterebbe a 89 milioni di euro;
- inflazione al 6% ammonterebbe a 106 milioni di euro;
- inflazione al 7% il drenaggio fiscale ammonterebbe a 142 milioni di euro.
Si tratta di importi in più che arrivano alle Casse dello Stato, che non corrispondono però a un aumento reale della ricchezza delle persone. Proprio per questo si parla di allarme drenaggio fiscale che potrebbe mettere gli italiani in difficoltà ancora maggiori spesso senza neanche la giusta percezione.
Come affrontare il drenaggio fiscale e neutralizzarlo
Un modo per sfuggire al drenaggio fiscale è cambiare le aliquote Irpef andando in particolare ad agire sugli scaglioni. L’obiettivo dovrebbe essere adeguare gli scaglioni al potere di acquisto reale legato agli stipendi e di conseguenza aumentare l’importo degli scaglioni almeno della stessa misura in cui viene aumentato il reddito e aumenta l’inflazione. Gli studiosi ipotizzano anche un intervento su detrazioni e deduzioni, ma di fatto dalla Politica, a oggi, non è arrivata alcuna indiscrezione su un potenziale intervento.
Non è la prima volta che l’Italia si trova di fronte a un’ipotesi di fiscal drag, tra i precedenti illustri vi è quello del Patto di Natale del ’98. Si tratta di un accordo tra sindacati e l’allora Presidente del Consiglio Massimo D’Alema per la restituzione agli italiani dei maggiori importi versati al Fisco, ma solo nel caso in cui l’inflazione avesse superato il 2%. Numeri che a ben vedere sono lontani da quelli odierni e che comunque fecero scattare misure di tutela.
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