Altro che crisi. Putin e l’economia russa non crolleranno prima di altri 5 anni

Flavia Provenzani

20 Novembre 2024 - 15:54

L’economia russa è più resistente di quanto sembri. Nessuna possibilità di crisi per Putin nei prossimi 3-5 anni. Il report.

Altro che crisi. Putin e l’economia russa non crolleranno prima di altri 5 anni

Sì, le sanzioni e l’inflazione galoppante hanno ostacolato l’economia russa, ma non come previsto. È molto più resistente di quanto sembri a prima vista e non c’è alcuna possibilità che si verifichi una grave crisi economica nei prossimi tre-cinque anni. È quanto si legge in un nuovo autorevole report del CASE.

Gli autori sono tra i maggiori esperti d’economia russa al mondo.
Sergey Aleksashenko è un rinomato economista russo che ha ricoperto la carica di vice ministro delle Finanze della Russia dal 1993 al 1995. Dmitry Nekrasov ha ricoperto vari incarichi presso il Servizio Fiscale Federale e nell’Amministrazione Presidenziale della Russia durante con Dmitry Medvedev al Cremlino. Vladislav Inozemtsev è un famoso economista russo in esilio, fondatore e direttore del Center for Post-Industrial Studies ed ex professore presso la prestigiosa Higher School of Economics di Mosca.

Quest’ultimo è stato il primo a notare come l’economia russa si stesse raffreddando mentre gli effetti keynesiani militari iniziano a dissiparsi ad agosto. La speculazione sui problemi economici della Russia va avanti ormai da mesi, molti oppositori di Putin sostengono che il crollo sia imminente. Un recente articolo d’opposizione pubblicato su Meduza prevede che la Russia affronterà un’ondata di fallimenti nel 2025 a causa dell’aumento del costo dei prestiti.

Ma Inozemtsev cassa una simile prospettiva pessimistica. La conclusione generale del report è che "la Russia è stata capace di resistere al colpo causato dalle sanzioni occidentali grazie a una combinazione di fattori, tra cui:

  • la sua economia di mercato ben sviluppata,
  • la sua posizione indispensabile come fornitore di materie prime per il mercato globale,
  • delle risposte altamente professionali da parte dei suoi funzionari governativi e
  • l’incapacità dell’Occidente di isolare la Russia sulla scena internazionale".

La conclusione? «Una valutazione imparziale delle capacità economiche della Russia presentata nel report esclude quasi ogni possibilità di una grave crisi causata da fattori interni in una prospettiva di almeno tre-cinque anni», andando così a contraddire le previsioni secondo cui l’economia russa sia destinata alla catastrofe nel 2025.

Come la Russia resiste alle sanzioni occidentali

L’Occidente era convinto che l’economia russa sarebbe crollata dopo l’imposizione delle durissime sanzioni implementate a partire dal 2022. E, sì, i primi mesi sono stati effettivamente uno shock. Ma nell’estate è arrivato il recupero e nel 2024 sono state, invece, le economie europee ad accarezzare la recessione, a causa dell’effetto boomerang delle sanzioni.
Si è caduti nell’errore di sottovalutare la rapidità d’attamento e l’efficacia con cui Putin avrebbe riorientato l’export russo verso il Sud del mondo, come anche la profonda integrazione della Russia all’interno dell’economia dell’Unione Europea.

A partire da metà 2023 abbiamo assistito a degli enormi cambianti strutturari nell’economia russa: la spesa militare è aumentata, la geografia del commercio estero è cambiata e i redditi disponibili reali dei cittadini sono cresciuti poiché i salari sono saliti grazie alla carenza di manodopera.

Tutti questi fattori, di concerto, hanno regalato all’economia russa forza, stabilità e la possibilità di soddisfare le esigenze militari del Cremlino nei prossimi anni, come anche quella di raccogliere risorse finanziarie sufficenti a finanziare dei programmi di welfare su vasta scala, utili a impedire un aumento delle proteste, si legge all’interno dello studio.

Una “crescita senza sviluppo”

L’attuale situazione può essere descritta come una “crescita senza sviluppo”, caratterizzata da un aumento quantitativo del volume di produzione di prodotti di lunga data, da un’espansione del settore dei servizi e da una limitata modernizzazione delle infrastrutture senza progressi tecnologici significativi.

In effetti dei lati negativi ci sono, eccome. Per molti aspetti l’economia russa è tornata indietro. La governatrice della CBR Elvira Nabiullina ha avvertito le aziende all’inizio della guerra sarebbero tornate indietro di «due generazioni di tecnologia» per mantenere in funzione le loro fabbriche.

E, cosa ancora più preoccupante per l’economia globale, le sanzioni hanno creato nuove occasioni per i criminali che consentono la violazione dei diritti di proprietà intellettuale, il commercio illecito con l’estero e, chiamiamolo così, l’uso di forme non tradizionali di accordi internazionali.

Perché, invece, molti parlano di un crollo dell’economia russa?

Secondo gli autori alcuni analisti continuano a fraintendere quanto sta accadendo all’intero dell’economia della Russia, sopravvalutando l’effetto delle sanzioni da un a parte e sottovalutando la forza del ruolo di leadership del Paese nell’economia globale e la sua capacità di rimodellare i mercati in risposta alle sanzioni dall’altra.

Ad aprile 2022 la Banca Mondiale aveva previsto che il PIL russo sarebbe crollato dell’11,2% entro la fine dell’anno. Il dato reale invece ha segnalto una discesa di solo il 2,1%. Lo scorso anno, l’economia russa è addirittura cresciuta del 3,6%, contro il +0,3% previsto dal FMI a inizio 2023. Nel 2024 la sua crescita potrebbe raggiungere il +3,8-4,0%, ma all’inizio dell’anno gli esperti stimavano appena un +1,3%.

Non sono piccoli errori di stima. Sono delle grandi cantonate.

"Riteniamo che questa disconnessione sia in gran parte soggettiva e rifletta le caratteristiche essenziali di tre gruppi principali di analisti.

Il primo gruppo è composto da esperti di lunga data della Russia che osservano gli eventi attuali attraverso la lente dell’era sovietica, interpretando la dittatura di Putin come un tentativo di ripristinare il sistema sovietico.

Il secondo gruppo comprende gli analisti che lavorano per governi occidentali o ONG e si sentono obbligati a proporre sanzioni e restrizioni, proiettando fiducia nella loro efficacia.

Il terzo gruppo è composto da esperti di origine russa, tra cui ex politici che disprezzano Putin e sono convinti dell’imminente crollo del suo regime.

I profondi pregiudizi di questi gruppi ostacolano le valutazioni oggettive dello stato attuale e delle prospettive dell’economia russa",

spiegano gli autori.

Le sanzioni non funzionano perché la comunità internazionale non è altro che una manciata di Paesi del mondo. Persino in Europa, all’interno della stessa UE, la volontà di imporre le sanzioni è stata debole. La propensione della Turchia a continuare a fungere da stazione di passaggio per il commercio con la Russia, le continue importazioni di gas russo da parte di Austria e Ungheria e le case automobilistiche di lusso tedesche che continuano a esportare auto di alta gamma a Mosca tramite Minsk sono solo alcuni degli innumerevoli esempi di come le sanzioni non siano affatto rispettate neanche da chi le ha imposte.

L’Occidente ha fallito nel convincere Cina e India a salire a bordo del treno della «comunità internazionale» e così il Sud del mondo, che costituisce il 90% della popolazione mondiale, è libero di ignorare completamente le sanzioni contro Putin.

Un altro errore di calcolo sta nell’aver attribuito tutta la crescita del Paese al settore militare e industriale. Anche il settore civile prospera, e tanto.

Nel 2023, il maggiore incremento all’apporto dato alla crescita economica russa è arrivato dagli alberghi e dalle imprese di ristorazione (+10%), dal settore dell’informazione e delle comunicazioni (+10%), dalle attività finanziarie e assicurative (+8,6%), dal commercio all’ingrosso e al dettaglio (+7,3%) e dalle costruzioni (+7,0%), il che si traduce un aumento della quota di spesa per consumi nel PIL al 68,7% , in salita dal 64,9% registrato nel 2022.

Il deficit pubblico

Anche l’introduzione delle sanzioni sul tetto massimo del prezzo del petrolio alla fine del 2022 e all’inizio del 2023 è stata fraintesa. Quando a marzo 2023 è stato pubblicato il bilancio, che mostrava un deficit enorme per il 2022 e un crollo delle entrate fiscali a gennaio 2023, le sanzioni sul petrolio sono state definite un enorme successo.

Ma questi numeri sono fuorvianti. Il deficit è salito per l’eccessivo rafforzamento del tasso di cambio del rublo sotto l’influenza delle restrizioni valutarie e per la lentezza del Ministero delle finanze nel cambiare la metodologia di determinazione del prezzo del petrolio a fini fiscali (che in precedenza si basava sul prezzo della miscela Urals sanzionata, ma è stata modificata preferendo il benchmark Brent), spiegano gli autori.

«Quando questi fattori hanno cessato di avere effetto, le entrate di bilancio si sono stabilizzate e hanno presto iniziato ad aumentare rapidamente, superando la crescita economica: il Ministero delle Finanze ha iniziato a riscuotere una»tassa sull’inflazione«sulle entrate aggiuntive dall’IVA, dall’imposta sugli utili e dall’imposta sul reddito delle persone fisiche, causata da un significativo eccesso del tasso di inflazione rispetto a quanto previsto nella bozza di bilancio».

Nel 2023 il Ministero delle Finanze ha dovuto attingere al National Welfare Fund (NWF) per recuperare 3,46 trilioni di rubli e coprire il 17% del deficit di bilancio. Nel 2024, la spesa di bilancio ad oggi è interamente finanziata dalle entrate, anche se potrebbe non rimanere così, poiché in genere il 20% di tutta la spesa avviene accumulata a dicembre. Attualmente, la previsione ufficiale per il deficit è dell’1,7% del PIL, ovvero 3 trilioni di rubli, in aumento dallo 0,8% di inizio anno. Per il 2026, il Ministero delle Finanze prevede che il deficit di bilancio sarà stabile.

«Bisogna aggiungere che il debito del governo russo è insignificante se confrontato agli standard moderni», affermano gli autori. Si prevede che il debito raggiungerà il 18,1% del PIL entro la fine del 2024, il che lascia spazio per i prestiti nazionali. Il Ministero delle Finanze sta pianificando di emettere altri 4 trilioni di rubli di debito nazionale nel 2024 (quasi il doppio dei livelli prebellici).

Il sostegno delle materie prime

L’economia russa è sempre stata forte grazie alla crucialità delle materie prime. Anche durante i caotici anni ’90, la Russia ha sofferto diverse crisi, ma l’economia si è sempre ripresa relativamente in fretta e ogni crisi ha fatto progressivamente meno danni della precedente.

«Nonostante un probabile rallentamento della crescita economica nella seconda metà del 2024, la Russia sembra al sicuro dal crollo dell’attuale modello economico nel prossimo futuro: il bilancio rimane in pareggio e si prevede che i redditi disponibili reali cresceranno ulteriormente. Naturalmente, l’aumento della spesa militare provoca una crescente inflazione, ma per ora è mantenuta entro numeri a una sola cifra»,

si legge nel report.

Questa resilienza è dovuta al sostegno che il Paese ricava dall’esportazione di materie come petrolio e metallo. Il modo migliore per capirlo è guardare al cosiddetto deficit non petrolifero. Per tutto il “regno” di Putin fino a prima della guerra in Ucraina il bilancio principale è stato in surplus, ma se si rimuovono magicamente le entrate da petrolio e gas, il bilancio non petrolifero è stato di circa il -4% del PIL. In altre parole, il Cremlino ha utilizzato le entrate da petrolio e gas per finanziare il resto dell’economia. In tempi di crisi il deficit non petrolifero è arrivato al -13% nel suo momento più buio in passato, con il Cremlino che vi attinge per alleviare gli effetti della crisi.

Oggi il governo continua a fare affidamento sul sostegno delle materie prime per ammortizzare i costi della guerra, gestendo un deficit di bilancio non petrolifero di circa l’8% del PIL, a livelli più sostenibili rispetto alle crisi passate. Per fare un paragone, nel 2020, durante la pandemia, il governo ha registrato un deficit non petrolifero del 9,8% del PIL, equivalente a 10,4 trilioni di rubli.

In sintesi: la guerra in Ucraina sta mettendo a dura prova le finanze del governo meno di quanto non abbia fatto la pandemia da coronavirus.

E nonostante tutte le misure restrittive introdotte, le esportazioni russe sono diminuite da 491,6 miliardi di dollari nel 2021 a 425,1 miliardi di dollari nel 2023, un appena -13,5%.

Nel complesso, questo crea una tendenza che è allarmante per l’Occidente e altamente significativa per la Russia: la Russia non sta semplicemente «cadendo nell’abbraccio della Cina», scrivono gli autori.

«Piuttosto, Mosca si sta trasformando in un»modello alternativo di globalizzazione", operando al di fuori dei quadri delle istituzioni controllate dall’Occidente e delle regole stabilite.

Questa tendenza potrebbe rivelarsi molto più pericolosa della tanto discussa «esportazione di corruzione» verso i Paesi occidentali...Come hanno dimostrato gli ultimi anni, l’uso di sistemi di pagamento non convenzionali, l’esportazione di prodotti piratati e il contrabbando di beni da aziende occidentali: tutte queste pratiche sono molto più facili da implementare di quanto si pensasse in precedenza".

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