Assegno unico, presto l’Inps potrebbe chiedere la restituzione di alcune somme erroneamente erogate nel 2022. A rischio i nuclei familiari con un solo genitore, ecco perché.
Sull’assegno unico familiare, che da marzo 2022 ha sostituito gli assegni al nucleo familiare (Anf), il governo Meloni ha investito molto tanto da aumentarne l’importo a partire da gennaio 2023.
Tuttavia, c’è un aspetto su cui il governo non si è soffermato che riguarda migliaia di famiglie composte da un solo genitore, le quali presto potrebbero essere chiamate a restituire un importo che può arrivare fino a 210 euro per figlio. Sul tema delle famiglie monogenitoriali percettrici dell’assegno unico siamo intervenuti già lo scorso novembre, quando per la prima volta l’Inps ha iniziato a sottrarre dalla quota mensile la maggiorazione, fino a 30 euro, riconosciuta nel caso in cui entrambi i genitori abbiano un reddito da lavoro.
La ratio di tale maggiorazione è chiara: in questo modo il legislatore ha voluto riconoscere un sostegno aggiuntivo a quelle famiglie che molto probabilmente, visto che entrambi i genitori sono impegnati in un’attività lavorativa, devono ricorrere ai servizi di baby sitter, o comunque ad altre forme di assistenza, nelle ore in cui non possono occuparsi dei figli.
A maggior ragione, quindi, la suddetta maggiorazione dovrebbe essere riconosciuta anche a quelle famiglie composte da un solo genitore laddove risulti allo stesso tempo un lavoratore; in tal caso, infatti, essendoci un solo genitore non vi è neppure la possibilità di organizzarsi con l’altro per quanto riguarda l’assistenza dei propri figli e per questo motivo potrebbe avere maggior bisogno di aiuto.
Tuttavia non è così: l’Inps applicando alla lettera quanto stabilito dal decreto che istituisce l’assegno unico ha deciso di riconoscere la maggiorazione in oggetto solamente ai nuclei in cui sono presenti entrambi i genitori. E per coloro che ne sono esclusi ma che comunque ne hanno beneficiato nei primi mesi del 2022, presto potrebbe arrivare la richiesta di restituzione delle somme precedentemente erogate.
Maggiorazione fino a 30 euro, cosa dice la legge
L’articolo 4, comma 8, del decreto legislativo n. 230/2021, riconosce, nel caso in cui “entrambi i genitori siano titolari di reddito da lavoro”, una maggiorazione per ciascun figlio minore pari a 30 euro mensili per chi ha un Isee inferiore a 15.000 euro. Il valore della maggiorazione si riduce progressivamente sopra i 15.000 euro, fino ad arrivare a zero con Isee di 40.000 euro.
Ad esempio, con Isee di 20 mila euro ammonta a 24 euro, mentre è di 18 euro con Isee di 25 mila euro.
Maggiorazione anche per i nuclei familiari con un solo genitore?
Nel suddetto riferimento normativo, però, non viene fatta menzione al nucleo familiare in cui c’è un solo genitore.
Ecco perché quando l’assegno unico è partito, nel marzo scorso, molte famiglie monogenitoriali hanno dato un significato più ampio alla norma, anche perché nel modulo di domanda Inps non era ben specificato, e hanno comunque richiesto la maggiorazione in oggetto qualora risultassero titolari di un reddito da lavoro.
Tuttavia, lo hanno fatto erroneamente perché di fatto la norma non viene rispettata in quanto non è vero che “entrambi” i genitori lavorano visto che di fatto ne è presente uno solo. E poco importa se l’altro è deceduto oppure irreperibile: in ogni caso il genitore solo non ha diritto alla maggiorazione.
Cosa ha fatto l’Inps
Per questo motivo, in un primo periodo l’Inps ha erogato la maggiorazione laddove richiesta in sede di domanda di assegno unico, salvo poi tornare sui propri passi e interromperne l’erogazione dal mese di ottobre.
Da allora le famiglie composte da un solo genitore hanno smesso di percepire la maggiorazione sperando però in una correzione della norma con la legge di Bilancio 2023. Tuttavia, nonostante l’ampio spazio in manovra dedicato all’assegno unico, dove ad esempio viene riconosciuta la maggiorazione del 50% dell’importo per i figli fino a 12 mesi (o fino a 36 mesi nel caso di figli successivi al secondo), il governo Meloni non è intervenuto per sanare “l’errore” commesso dal governo Draghi.
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Cosa potrebbe fare adesso l’Inps
Il mancato intervento del governo pone l’Inps in una posizione scomoda. Resta, infatti, da sanare la situazione riferita a quelle 7 mensilità, da marzo a settembre, in cui la maggiorazione è stata indebitamente percepita.
Questo significa che l’Inps potrebbe presto richiedere le somme precedentemente erogate che, a seconda dell’importo percepito, potrebbero arrivare a 210 euro per figlio. Si pensi a una madre vedova con due figli minori, la quale dovrebbe restituirne 420 euro, oppure a un padre solo con persino tre figli, per il quale la quota da ridare all’Inps sarebbe persino di 630 euro.
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