Pensioni, il Governo Draghi si opporrà al maxi aumento in programma a gennaio prossimo? Ecco perché non ne ha motivo.
Nel 2023 è previsto un maxi aumento delle pensioni: ma siamo sicuri che il Governo non si opporrà?
Nei prossimi tre anni 32 miliardi di euro usciranno dalle casse dello Stato per entrare nelle tasche dei pensionati. Si tratta di una stima realizzata dall’Ufficio parlamentare di bilancio, il quale ha calcolato l’impatto dell’inflazione sulla rivalutazione delle pensioni.
Come noto ai più, infatti, ogni inizio anno l’importo della pensione viene adeguato alla variazione dell’inflazione. Un meccanismo che impedisce la perdita del potere d’acquisto dell’assegno a causa del caro prezzi.
Questo meccanismo negli ultimi anni ha portato a leggeri ritocchi della pensione, ma, vista l’inflazione registrata nel 2022, nel 2023 l’incremento potrebbe essere molto più elevato. Una buona notizia per i pensionati, meno per i conti pubblici visto l’esborso previsto: tra i 5 e i 6 miliardi per il solo 2022, più di 30 miliardi di euro nel prossimo triennio.
Per questo motivo c’è chi ritiene che il Governo possa porre un freno alla rivalutazione delle pensioni, introducendo un sistema più penalizzante per le fasce medio alte. Tuttavia, come vi spiegheremo in questo articolo, una tale decisione potrebbe essere immotivata.
Quanto costerà allo Stato aumentare le pensioni
Secondo i calcoli effettuati dall’Ufficio parlamentare di bilancio, gli extra costi per il bilancio dello Stato legati all’inflazione in corso applicata alle pensioni sono così quantificabili:
- 5,7 miliardi nel 2023;
- 11,2 miliardi nel 2024;
- 15,2 miliardi nel 2025.
Stime a cui si arriva considerando un’inflazione superiore di due punti rispetto a quanto era già stato quantificato nel Def: qui, infatti, si parlava di un incremento del tasso d’inflazione del 5,8%, mentre oggi siamo al 7,3%.
Come funziona l’aumento delle pensioni nel 2023
Il tasso d’inflazione registrato a fine 2022 verrà applicato sulle pensioni. Tuttavia, non tutti gli assegni vengono rivalutati pienamente, visto che oggi è in vigore il seguente sistema:
- 100% dell’inflazione per le pensioni d’importo non superiore alle 4 volte il trattamento minimo;
- 90% dell’inflazione per le pensioni comprese tra le 4 e le 5 volte il trattamento minimo;
- 75% dell’inflazione per le pensioni oltre le 5 volte il trattamento minimo.
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Ma negli anni sono stati diversi i meccanismi utilizzati, molti dei quali più penalizzanti per i pensionati proprio alla scopo di contenere i costi della rivalutazione. Ad esempio, nel 2011 c’è stato il decreto Salva Italia del Governo Monti, con il quale per il 2012 e il 2013 è stata bloccata la rivalutazione per tutte le pensioni superiori a 3 volte il trattamento minimo (sistema poi bocciato dalla Corte Costituzionale).
L’aumento delle pensioni nel 2023 è a rischio?
L’aumento delle pensioni, previsto dalla legge, richiederà dunque un maggior esborso allo Stato rispetto a quanto era stato preventivato. Ragion per cui c’è chi ritiene che Mario Draghi possa fare come i suoi predecessori - da Monti a Letta, fino al Governo M5s-Lega che introdusse una rivalutazione per 7 fasce di reddito - introducendo un sistema più penalizzante rispetto a quello originario a tre fasce, applicato anche nel 2022, voluto da Prodi.
Tuttavia, come spiegato da Maria Rosaria Marino, direttore del Servizio analisi settoriale dell’Upb, non è così necessario farlo. Infatti, è vero che la rivalutazione costerà più soldi allo Stato, ma allo stesso tempo questo sta incassando molto di più: per via dell’inflazione, infatti, cresce anche l’Iva versata dai contribuenti. Ragion per cui “il saldo per i conti pubblici alla fine potrebbe non peggiorare”, con l’aumento delle pensioni che sarebbe del tutto sostenibile.
Anche perché c’è da tener conto che già in passato (nel 2015) la Corte Costituzionale si è espressa in maniera contraria al blocco della rivalutazione e il rischio che possa ripetersi in caso di ulteriore stretta è elevato.
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