Le società farmaceutiche ultimamente sono sotto i riflettori. Tuttavia, la loro importanza al momento non si è tradotta in forti rialzi in Borsa.
Non c’è dubbio che le azioni farmaceutiche siano state nell’ultimo periodo sotto stretta osservazione da parte di analisti ed investitori.
Con la pandemia, in molti hanno iniziato a chiedersi quando l’industria farmaceutica sarebbe stata in grado di fornire vaccini e cure adeguate e chi tra le varie aziende avrebbe vinto la corsa.
Alla fine, la gara dei vaccini è stata vinta da Pfizer e subito a seguire da Moderna. Poi, a ruota, sono arrivate AstraZeneca e ora anche Johnson & Johnson, che però è ancora alle prese con verifiche e autorizzazioni. Altre Big Pharma sono indietro o non si sono dimostrate interessate allo sviluppo di un vaccino anti-Covid.
Se consideriamo il numero di vaccini che serviranno per la popolazione mondiale, non c’è dubbio che il volume di ricavi atteso sia piuttosto importante. Ci si aspetterebbe, quindi, una corsa all’acquisto di titoli farmaceutici. Eppure, guardando i numeri, non è stato così.
Perché le azioni farmaceutiche non performano come da attese
Se guardiamo la performance dell’indice healthcare/farmaceutico mondiale MSCI World Healthcare, vediamo che negli ultimi 12 mesi ha registrato un +8,04%. Nello stesso periodo, l’indice generale MSCI World ha segnato un +33% circa, a seguito del rimbalzo successivo alla caduta dovuta al Covid-19.
Si può pensare che questo indice Healthcare abbia fatto poco perché composto, insieme ai «vincitori» della corsa vaccinale, anche da aziende perdenti. Quindi, se ci limitassimo alle sole 3-4 aziende che hanno sviluppato il vaccino i numeri dovrebbero essere ben diversi. Ciò però è vero solo in parte.
Infatti, Pfizer negli ultimi 12 mesi registra un +11%, JNJ +13% circa, AstraZeneca è invariata. L’unica che ha veramente mostrato un rimbalzo significativo è stata Moderna, che effettivamente ha guadagnato oltre 160%.
A parte quest’ultima eccezione non sembra che l’effetto complessivo di questa «attenzione» degli investitori abbia portato grandi benefici.
I motivi sono diversi.
Da un lato c’è la paura che i brevetti sui vaccini Covid possano essere in qualche modo «tagliati» in vari modi. Molti leader delle economie più ricche stanno avanzando l’ipotesi di ridurre la protezione o rimuovere del tutto questi brevetti, soprattutto a beneficio delle economie meno sviluppate che farebbero fatica ad acquistarli a prezzo di mercato.
Dall’altro, c’è sempre la paura che l’efficacia non sia così alta e possano emergere in futuro delle problematiche.
Infine, non dobbiamo nemmeno dimenticarci del fatto che l’industria farmaceutica ha dimensioni enormi. I vaccini anti-Covid, per quanto importanti, rappresentano comunque solo una frazione del totale e gli altri segmenti in questo periodo non sono tutti andati a gonfie vele. Soprattutto le divisioni «consumer» hanno segnato qualche battuta d’arresto.
Le caratteristiche delle azioni farmaceutiche
Ma un altro aspetto che non possiamo tralasciare risiede nel fatto che le azioni farmaceutiche sono generalmente difensive. Questo vuol dire che in un momento di rialzo generalizzato in cui aumenta la componente speculativa e la corsa all’acquisto, difficilmente questo settore potrà tenere il passo con quelli più ciclici.
Infatti, se guardiamo la performance in un orizzonte più lungo vediamo che i risultati diventano più favorevoli.
A tre anni, l’ETF Healthcare registra una performance del 50% circa, mentre l’indice MSCI World si ferma a +47%.
Gran parte di questa extra-performance è stata conseguita in un anno negativo per i mercati e cioè il 2018. In quell’anno, a fronte di un calo del 4,30% dell’indice generale MSCI World il comparto farmaceutico registrò un +5,47%.
Le azioni farmaceutiche in un portafoglio
Quando si tratta di aggiungere stabilità a un portafoglio azionario sicuramente le azioni farmaceutiche sono tra i settori più importanti da prendere in considerazione.
I brevetti garantiscono protezione di lungo termine per gli ingenti investimenti in ricerca. Investimenti che, peraltro, stanno diventando sempre più elevati.
Alcune stime rilevano come negli anni ’70 servissero circa 180 milioni di dollari per portare un farmaco sul mercato tra ricerca pura, esperimenti, trials ed approvazioni. Negli anni 2000 questo importo è arrivato a circa 1 miliardo di dollari e sta crescendo sempre di più. Alcuni analisti stimano il costo attuale al di sopra dei 2 miliardi. È chiaro che i brevetti garantiscono il cash flow adeguato nel tempo per ripagare investimenti così alti. Se non per tutti i farmaci e tutte le imprese, almeno a livello di settore.
Con questa stabilità di flussi di cassa e anche dividendi, il settore è, insieme al food&beverage e ai beni di consumo, quello più interessante per chi vuole poche sorprese.
Naturalmente sarà difficile vedere rialzi del 100% in pochi mesi, salvo scovare la piccola azienda biotech che lancia un farmaco innovativo. Ma è un po’ come andare al casinò. Invece, le aziende più solide e grandi, le Big Pharma, possono offrire interessanti rendimenti di lungo termine, bassa volatilità, e nella rotazione settoriale che è già in corso potrebbero riscuotere un discreto successo.
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