Joe Biden vuole ricandidarsi alle prossime elezioni presidenziali nel 2024, l’unico impedimento potrebbe essere la salute.
Joe Biden, 80 anni, ha tutte le intenzioni di correre ancora per la presidenza nel 2024 e, secondo me, fa benissimo a farlo. L’unico impedimento potrebbe essere la salute, che quando vuole non perdona nessuno. Ma tutti gli altri ostacoli, a lui, gli fanno un baffo. Non lo dico da suo fan, lo dico mettendomi nella sua testa e guardandomi attorno. Che è quello che sta facendo lui. Chi lo ha visto recitare il più sfacciato discorso sullo Stato dell’Unione di sempre, qualche settimana fa, con il sorriso sornione di chi ha vinto una lotteria (le elezioni di medio termine andate molto meglio del previsto) non può che essere d’accordo con me. Per la sua prossima campagna presidenziale, del resto, ha già perfino coniato lo slogan - “let’s finish the job”, “finiamo il lavoro” - frase che ha ripetuto alla nausea durante il comizio a reti unificate.
Il Wall Street Journal, che prende le cose sul serio, nel commento del giorno dopo ha messo in luce una contraddizione stridente. Biden ha speso l’ora abbondante del Discorso annuale per elencare una lunga serie di vittorie legislative e di successi economici del suo primo biennio: dalle spese per i programmi sociali e i lavori pubblici ai sussidi per i semiconduttori dei computer; dai miliardi per l’energia verde ai numeri record del mercato del lavoro; dall’inflazione domata alla immigrazione clandestina in calo. Perché, allora, i sondaggi sono tanto avari con lui, si chiede il giornale conservatore? La polarizzazione ha il suo peso, ma la realtà è che la sua retorica trionfalistica, e l’appoggio dei media adoranti, non stanno convincendo un pubblico che assiste a un film diverso nella vita di tutti i giorni.
L’approvazione sul lavoro complessivo da presidente non va oltre il 44,2% nella media RCP (ma Gallup gli dà il 41%). Su come stia maneggiando l’economia il giudizio della media RCP è addirittura impietoso: solo il 38% lo promuove. Alla domanda se gli americani stanno finanziariamente meglio o peggio di due anni fa, il sondaggio Washington Post/ABC ha risposto che il 41% sta peggio, e solo il 16% meglio. Per il 62% della gente (tra cui il 22% di Democratici), Biden ha fatto poco o niente di buono. Non stupisce, in conclusione, che il 58% dei Democratici non lo vorrebbe vedere ricandidato, e preferirebbe un altro nome. Non bastasse, lo stesso sondaggio dice che Biden, in un testa a testa con Trump, perderebbe per 44% a 48%.
E il vecchio Joe? Come prende tutti questi schiaffi di sfiducia che azzopperebbero ogni politico normale? Con il sorriso sornione di chi sa di avere una corazza di protezione a prova di tutto. Lo sa, perché lo ha sperimentato per tutta la sua carriera.
E se qualche voce amica lo adula con parole belle, come l’opinionista Michelle Goldberg sul fidato New York Times (“Biden è un grande presidente. Non dovrebbe correre ancora”), lui incassa il complimento e… non fa una piega.
Perché la corazza, Biden, se l’è confezionata in oltre mezzo secolo di vita politica in Congresso e alla Casa Bianca a navigare sull’onda. Non dimentichiamo che il 2020 era stato il suo terzo tentativo di ottenere la nomination per la presidenza. Le prime due volte non era mai entrato davvero in lizza, uscito senza gloria, sia nel 1987, sia nel 2007. E non parliamo di quando, dopo 8 anni di vicepresidenza sotto Obama, il suo boss, invece di appoggiarlo, gli voltò le spalle e nel 2016 optò per Hillary Clinton.
Sempre in piedi, l’Ercolino della politica Democratica ha ignorato la bocciatura. Ha ripreso a studiare da presidente, non trascurando gli affari della famiglia (in Cina). Soprattutto, ha continuato a sviluppare la sua fama di produttore seriale di gaffe, campo in cui ha ottenuto alla fine un risultato rimarchevole, nel costume e nel dibattito politico Usa. Prima uno strafalcione, un errore lessicale, un’amnesia di qualche secondo potevano costare la carriera (vedi Rick Perry nel 2016). Poi Biden ne ha sparate cosi’ tante da sgonfiare l’effetto mediatico/politico della gaffe. Adesso non si ride più, si sbadiglia.
E comunque, quando c’è stato da rintanarsi nel sottoscala per mesi, nel Delaware, invece di fare campagna elettorale davanti alla gente e ai giornalisti, Biden è stato impeccabile: protetto dai media amici, è arrivato al voto senza fare una seria conferenza stampa, lasciando al Covid il compito di distruggere Trump. Ed oggi, dopo l’assalto dei suoi fans al Campidoglio nel gennaio 2021, Donald è diventato per Biden la polizza assicurativa sulla vita.
Joe è fortunato: l’uomo sbagliato al posto giusto. Non che fosse in testa agli auspici dei Dem che contano, persino Obama nel 2020 cercò di fargli capire che era meglio se non correva. Solo che, se fosse passato Bernie Sanders, addio sogni di gloria dei Dem. E allora, dentro l’usato sicuro, Biden, e gli altri Dem si tolsero di mezzo (Pete Buttigieg, Amy Klobuchar).
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Il presidente Dem ha una storia tanto piena di miracoli da dargli la certezza interiore di essere, anche per il 2024, l’uomo della Provvidenza. Non perché può ingarbugliarsi a piacere quando parla. E non perché davanti alla prospettiva di ritrovarsi una Kamala Harris alla Casa Bianca il popolo dei Dem preferisce imbalsamare il vecchio Joe fino al 2028. No, lo schermo infrangibile che dà a Biden il sorriso sornione esterno e la sicumera interna di essere sopra tutto e tutti è il perdono o l’insabbiamento delle sue malefatte.
In pieno clima di #MeToo riuscì a far cadere nel vuoto le accuse di violenza sessuale mossegli da una stagista quando era un senatore. Fu una buona performance per Joe, la prima che lo convinse d’essere impunito e impunibile: la parola sua contro quella di Tara Reade, e lui vinse. Biden, che aveva detto “quando una donna accusa bisogna darle retta”, ha ottenuto dalla stampa amica, e dalle femministe un tanto al chilo, lo sconto-partito: se l’accusato è un Democratico, vien dato per innocente e il caso non esiste; se l’accusato è il giudice conservatore della Corte Suprema Brett Michael Kavanaugh viene ancora oggi martoriato dalle femministe e nei talk show liberal.
Cento volte più grave, però, è l’impermeabilità della scorza che protegge le vergogne finanziarie, con coda sulla sicurezza nazionale, della famiglia Biden intera, Joe in testa. L’attività corrotta del figlio Hunter nella Ucraina pre Zelensky, e del fratello affarista James, è già nei best seller del giornalista investigativo Peter Schweitzer, che da anni diffusamente documenta gli affari opachi, per dire poco, della famiglia in paesi ostili agli Usa come la Cina e la Russia. I sospetti emersi dal laptop di Hunter sul padre (“big guy”) quale percettore del 10% dei profitti della società “di famiglia” (a testimoniarlo è Tony Bobulinski, manager e Ceo della finanziaria creata da Hunter), avrebbero dovuto, in un mondo editorialmente normale, mettere Biden alle strette. Invece, i media mainstream - New York Times, Washington Post, Cnn etc - hanno fatto muro a protezione del candidato democratico negando l’esistenza stessa del laptop per oltre un anno.
Ecco da dove viene la convinzione di Biden di godere di una speciale immunità. Se non viene chiamato nemmeno a rispondere degli affari con la banca dell’esercito del popolo e del partito comunista cinese che coinvolgono lui e la sua famiglia, e se può, come ha fatto nel dibattito televisivo prima del voto del 2020, sostenere “non ho mai parlato di affari all’estero con mio figlio Hunter” senza essere svergognato dalle prove inoppugnabili del contrario, va da sé che Biden si senta dio. E si voglia candidare. Dispone di una stampa di pretoriani fedeli che non si fermano di fronte alla vergogna di tenere nascosti gli scandali del laptop che valgono dieci Watergate. Che cosa volete che sia, per questi giornalisti da complemento, coprire ogni altra notizia sfavorevole alla causa del partito Dem? Lo faranno fino al voto, e Biden il sornione lo sa, e ci conta.
Il suo non è delirio di onnipotenza di un ottuagenario. È razionale consapevolezza di essere in una botte di ferro. Il suo partito non ha ricambi. E anche le dichiarazione della gente ai sondaggisti, sfavorevoli per quanto suonino, sono solo pareri al vento. Biden ne è convinto: “I sondaggi non contano più nulla”, ha detto qualche giorno fa a un giornalista che glieli ha ricordati.
Trump, invece, è impensabile possa vincere: se fosse il nominato del GOP (ci torneremo a tempo debito) l’ostilità verso di lui nel paese farebbe aumentare gli 80 milioni di voti contro di lui con i quali Biden lo ha stracciato nel 2020.
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