Perché cancellare il debito non è una buona idea (soprattutto per l’Italia)

Renato Frolvi

30 Novembre 2020 - 18:05

Ecco tutte le conseguenze negative per i conti pubblici dell’Italia nel caso in cui si procedesse alla cancellazione del debito da parte della BCE.

Perché cancellare il debito non è una buona idea (soprattutto per l’Italia)

Ogni tanto c’è qualche “showman della finanza” che propone la cancellazione del debito pubblico in mano alle banche centrali. La possibilità viene sollevata a intervalli regolari, da ultimo dal Presidente del Parlamento Europeo David Sassoli a metà Novembre. Una simil-proposta era stata abbozzata nel contratto di governo M5S-Lega a maggio 2018, nel quale si ipotizzava un’istanza di cancellazione di 250 mld di euro di debito italiano presso la BCE. Allora, ben prima della crisi Covid-19, il debito pubblico italiano si avvicinava al 130% del Pil. A fine 2020 secondo il FMI arriverà al 161%.

Finalmente è arrivata una risposta dalla diretta interessata, cioè Banca Centrale Europea, per bocca della Lagarde e di De Guindos: la cancellazione è contraria al trattato istitutivo della Comunità europea.

Perché cancellare il debito non è una buona idea

La BCE infatti non può finanziare direttamente i singoli stati, a norma dell’art. 123 del Trattato. Eppure la BCE sta comprando tonnellate del nostro debito sul mercato secondario (che Dio la benedica) mantenendo compressi i rendimenti del nostro decennale allo 0,65%. Si tratta di una lotta titanica contro la pandemia che era assolutamente necessaria. La BCE e le banche centrali nazionali hanno acquistando talmente tanto debito pubblico emesso dagli emittenti sovrani dell’Eurozona che alla fine hanno «drogato» la relazione rischio-rendimento degli emittenti - quella relazione che lega necessariamente un emittente maggiormente indebitato ad un costo del debito maggiore.

Normalmente, se hai molti debiti e vuoi che io continui a finanziarti mi devi pagare tassi più alti. Semplice, no? No, non lo è, almeno per ciò che concerne i nostri BTP. A dicembre 2019 il debito/Pil dell’Italia era al 134% e i nostri decennali rendevano 1,40%. A fine dicembre il nostro debito/Pil raggiungerà 161% e il rendimento del decennale rimarrà allo 0,60% attuale. L’intervento della BCE sul mercato secondario, quindi, evita il default dell’Italia in primis, ma anche della Spagna e del Portogallo.

Il QE spiega in gran parte perché non c’è stata una crisi del debito sovrano e perché al crescere del debito i rendimenti sono diminuiti. Di fatto, a differenza del 2010-2011, tutte le altre banche centrali nel mondo a marzo 2020 erano sulla stessa lunghezza d’onda. Salvare l’economia dalla depressione. Di fatti, in media - da gennaio 2020 a ottobre 2020 - il debito/Pil è aumentato della stessa proporzione nei Paesi OCSE sviluppati (+20%) contro il +26% dei Paesi emergenti.

Le conseguenze per l’Italia

Ma si può semplicemente cancellare il debito? E no, proprio no. Con i mercati non puoi fare il “gioco delle 3 carte” come fanno i truffatori. Una cancellazione unilaterale del debito sarebbe destinata a innescare una crisi del debito sovrano che travolgerebbe gli emittenti più fragili, tra i quali l’Italia appunto. Perché?

La risposta l’ha data qualche giorno fa François Villeroy de Galhau, il Governatore della Banque de France, il quale ha detto che cancellando i debiti si pone un semplice problema: «se i rimborsi del debitore si prosciugano, si prosciugheranno anche i prestiti erogati dai creditori». Giusto. La nostra economia si basa sul debito pubblico, la nostra spesa pubblica, i nostri investimenti pubblici sono tutti fatti a debito, persino gli interessi sul debito pubblico sono ripagati con altro debito pubblico.

Quindi altolà a queste scemenze: in un mondo bizzarro in cui si cancellasse d’ufficio il debito italiano presso la BCE si scatenerebbe il panico. Gli spread BTP-BUND sarebbero molto più elevati, richiedendo tagli molto più consistenti alla spesa pubblica per controbilanciare l’esplosione della spesa in conto interessi. Infatti il costo del debito aumenterebbe proprio per pagare cedole più alte sul debito di fresca emissione.

Quest’anno - se ci va bene - chiuderemo con circa 60 mld di euro di spesa per interessi. Una montagna. Almeno fino a quando i disavanzi pubblici saranno in aumento e gli Stati dipenderanno dai creditori - quindi dai mercati finanziari e dalle banche centrali - parlare di congelamento del debito o di cancellazione è pura follia. La “cura” (tagliare il debito per cancellazione) ucciderebbe definitivamente il malato (lo Stato Italiano).

Il nodo azionisti della banca centrale

Ci sono poi degli aspetti tecnici di non poco conto. Oltre al rilievo (giustissimo) di violazione dell’art. 123 del Trattato, si pone il problema del danno agli azionisti della Banca Centrale.

Talvolta, come nel caso della Francia, la banca centrale ha per unico o principale azionista lo Stato. Talvolta gli azionisti sono le banche ordinarie o le assicurazioni (come nel caso di Bankitalia, posseduta da Intesa, Unicredit, Generali ecc).

Se la banca centrale cancella parte del suo patrimonio e subisce perdite sulle obbligazioni in portafoglio, non distribuirà dividendi (per esempio i 6,1 miliardi di euro pagati quest’anno dalla Banque de France allo Stato) né pagherà le tasse. E sarebbe un guaio per gli azionisti. Le cancellazioni massicce del debito richiederebbero la ricapitalizzazione delle banche centrali, richiedendo a loro volta agli Stati di assumere più debiti. Oppure, nel caso di Bankitaila, richiedendo alle banche ordinarie e alle assicurazioni di accollarsi più debiti. Sia che parliamo dell’azionista Stato, sia dell’azionista Banca ordinaria, il soggetto azionista della banca centrale dovrà per forza rivolgersi ai mercati finanziari e chiedere prestiti a tassi d’interesse e spread molto più elevati rispetto a prima della cancellazione.

Sarebbe un’enorme “partita di giro”. Come un cane che si morde la coda. E se ci fossero difficoltà a reperire il denaro per ricapitalizzare la banca centrale, la mancata ricapitalizzazione della medesima banca centrale sarebbe destinata a minare la fiducia nella moneta, con conseguente deprezzamento della stessa nei confronti delle altre divise internazionali (ed esplosione dell’inflazione importata).

Ma allora la BCE dovrebbe intervenire sul mercato dei cambi (dissanguandosi di riserve ufficiali) e richiedere a sua volta un aumento dei tassi di interesse per difendere l’euro. Un aumento dei tassi di interesse, tuttavia, porterebbe alla frenata brusca dell’economia. Insomma, si innescherebbe una reazione a catena sui mercati monetari, obbligazionari e mercati dei cambi di difficile risoluzione.

E allora come andrà a finire tutto questo? Ci vorranno anni. Forse un decennio. Probabilmente attraverso una combinazione di crescita economica (che ci si può aspettare che rimbalzi dopo il Covid), con l’esplosione dell’inflazione nel medio termine e, infine, con tassi di interesse reali negativi, cioè con tassi reali molto al di sotto del costo reale del debito.

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