Chi ha un conto corrente cointestato rischia l’accertamento fiscale, come ribadito dalla Corte di Cassazione. L’Agenzia delle Entrate può presumere che il denaro appartenga soltanto a un correntista.
Il conto corrente cointestato è molto utile per tanti cittadini, che riescono così a condividere parte del proprio denaro e delle spese in modo semplice. Ci sono tanti motivi per cui il conto cointestato si può rivelare utile, ad esempio tra coniugi per i soldi necessari alle esigenze familiari, ma anche tra genitore e figlio per un aiuto al sostentamento. In ogni caso, di norma si presuppone che il denaro presente sul conto corrente cointestato appartenga a ogni cointestatario nella misura del 50%, salvo diverse specificazioni.
Si tratta di un principio molto importante, che infatti regola questo genere di rapporti anche in caso di successione, separazione dei beni o pignoramenti. Non tutti sanno, però, che la Corte di Cassazione non ha esitato a ribaltare questa convinzione, trovando un’eccezione alla regola particolarmente importante per i contribuenti italiani. Si parla infatti di accertamenti fiscali, per i quali - secondo una sentenza della Cassazione - l’Agenzia delle Entrate può ritenere un solo intestatario proprietario di tutto il denaro sul conto, con le relative conseguenze sulla tassazione.
Conto corrente cointestato, di chi sono i soldi?
Per il conto corrente cointestato vale la presunzione che ogni cointestatario abbia la proprietà del 50% del denaro. Ovviamente, gli intestatari possono accordarsi per differenti ripartizioni o comunque all’occorrenza superare questa presunzione dimostrando l’effettiva suddivisione della proprietà. Di solito questa presunzione opera indipendentemente dalla provenienza dei soldi che entrano sul conto corrente cointestato, anche nell’ipotesi in cui provengano da uno solo dei titolari.
Di fatto, questa situazione è molto comune, per esempio tra marito e moglie quando soltanto uno dei due ha un’attività lavorativa. Si considera quindi che tutti i versamenti effettuati sul conto corrente cointestato corrispondano a donazioni in favore dell’altro intestatario nella misura del 50%. Non soltanto i cointestatari possono fornire delle prove, laddove necessario, per dimostrare la proprietà dei soldi, può farlo anche il Fisco per la tassazione.
Ed è proprio su questo che rileva l’intervento della Corte di Cassazione, che ha notevolmente alleggerito l’onere probatorio. In altre parole, per l’Agenzia delle Entrate diventa molto più semplice dimostrare che i soldi appartengono a un unico correntista, il quale deve pagare le tasse dovute.
Gli accertamenti fiscali sul conto corrente cointestato
Come anticipato, la pronuncia della Corte di Cassazione permette all’Agenzia delle Entrate di dimostrare in modo molto più semplice che il denaro sul conto corrente cointestato appartiene a un unico titolare. Nello specifico, i giudici hanno ritenuto sufficiente che fosse soltanto uno degli intestatari a versare i soldi e a utilizzarli attraverso il bancomat. C’è però un’informazione estremamente rilevante da aggiungere, ossia che ci si riferisce in modo specifico a professionisti e imprese, i quali potrebbero utilizzare il conto corrente cointestato con un’altra persona per evadere le tasse, tentando di eludere gli accertamenti su parte del denaro come se appartenesse a un’altra persona, ossia il cointestatario.
Questo orientamento, tuttavia, per estensione riguarda qualsiasi soggetto in possesso di un conto corrente cointestato e tenuto al pagamento delle tasse, perché il medesimo escamotage si presta nella vita comune anche alla raccolta di redditi percepiti in nero, così come al tentativo di abbassare impropriamente la dichiarazione dei redditi o l’indicatore Isee.
Il compito del Fisco è reso decisamente più semplice, ma ciò non esclude che il correntista in buona fede riesca a provare che in realtà il denaro presente sul conto corrente cointestato non risponde a fini di evasione. Quando entrambi i correntisti utilizzano il denaro o comunque per rispondere a esigenze comuni (come quelle relative alla casa familiare) è più semplice, perché si può contestare che si tratta di una donazione.
Quest’ultima, se di modico valore, può anche avvenire in modo informale e senza atto notarile. L’essenziale è che entrambi i correntisti paghino le tasse sui propri redditi, se dovute, potendo così utilizzare il conto cointestato senza alcun tipo di problema. Per questa ragione, è fondamentale che i redditi che confluiscono nel conto corrente cointestato siano debitamente documentabili a seconda della loro provenienza o, se effettivamente provenienti dall’attività professionale, dichiarati opportunamente.
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