Ecco perché il datore di lavoro è stato portato in tribunale e cosa c’entra la richiesta di 6.000 euro per lo stipendio.
È appena terminata una vicenda giudiziaria particolarmente importante in questo momento storico, dove la sensibilità sulle pari opportunità e gli interventi volti ad assicurare la parità dei sessi richiedono attenzione costante. In sintesi, un lavoratore ha chiesto 6.000 euro di stipendio durante il colloquio e non essendo stato assunto ha fatto causa all’azienda lamentando una presunta discriminazione. Poco dopo, infatti, è stato assunto un lavoratore del sesso opposto che aveva richiesto uno stipendio di 5.000 euro. Non sappiamo quali dei due candidati fosse di sesso maschile e quale femminile, dal momento in cui la storia è stata volutamente raccontata senza fornire questa indicazioni dai quotidiani finlandesi.
È proprio in Finlandia, infatti, che è appena terminata questa controversia cominciata nel 2019. Dopo indagini approfondite e tre gradi di giudizio, la condotta dell’azienda è stata considerata legittima. Secondo i giudici, infatti, le assunzioni sono state basate su criteri ammissibili e oggettivi, senza alcuna prova che il sesso dei candidati sia stato motivo di discriminazione. Lo stipendio proposto, inoltre, ha giocato a sfavore del ricorrente. La cifra di 6.000 euro è stata giudicata eccessivamente alta dall’azienda (e anche dai giudici), corrispondendo alla retribuzione dell’amministratore delegato e riguardando mansioni inferiori.
La richiesta dell’altro candidato, poi nuovo lavoratore, è stata invece interpretata come idonea nell’ambito di una negoziazione. L’offerta stipendiale del datore di lavoro ammontava infatti a 4.500 euro, perciò non c’è stato troppo distacco. In ogni caso, la notizia solleva questioni interessanti che possono tranquillamente essere affrontate guardando al mondo del lavoro in Italia. Cosa sarebbe successo in una situazione analoga e come ci si deve comportare se si sospetta di esser stati penalizzati nell’assunzione per discriminazione?
Cosa sarebbe successo in Italia?
Il caso finlandese potrebbe senza problemi essere replicato sul territorio italiano, pur dovendo ammettere che la negoziazione dello stipendio non è proprio un punto di forza dei colloqui di lavoro nostrani. Non è difficile capire che per molti lavoratori, anche non alla prima esperienza, parlare di denaro durante i colloqui è ancora un taboo. Chiedere qual è lo stipendio proposto sembra di cattivo gusto, avanzare un’offerta assolutamente disdicevole. Molti datori di lavoro incoraggiano con entusiasmo questa mentalità, anche se ovviamente non si può generalizzare.
L’informazione e l’istruzione possono gradualmente fare la differenza e non mancano certo nel Belpaese colloqui di lavoro in tutto e per tutto onesti e trasparenti. Così come non mancano problemi simili in Finlandia, dove i cittadini spesso lamentano la poca chiarezza del datore di lavoro sulla fascia salariale proposta, rischiando così penalizzazioni nel colloquio. In ogni caso, la richiesta di uno stipendio considerato sproporzionato rispetto alla media potrebbe ben essere motivo di esclusione da un’offerta di lavoro.
D’altro canto, nulla vieta di preferire direttamente chi ha condizioni più favorevoli, purché vengano rispettati i Ccnl e l’equa retribuzione (giudicata per qualità e quantità del lavoro) imposta dalla Costituzione. Il datore di lavoro privato è inoltre libero di assumere chi preferisce, purché non metta in atto delle discriminazioni.
Cosa fare in caso di discriminazione durante l’assunzione
Il Codice delle pari opportunità - Decreto legislativo n. 198 dell’11 aprile 2006 - e lo Statuto dei lavoratori - legge n. 300/1970 - insieme ai principi costituzionali vietano al datore di lavoro qualsiasi discriminazione fondata su sesso, opinioni politiche, religiose, sindacali, condizioni di salute, etnia e orientamento sessuale. Tali regole valgono fin dal colloquio di lavoro, dove l’esclusione del candidato non può essere motivata esclusivamente su questi fattori personali e irrilevanti per la vita lavorativa.
Ciò significa che è possibile far causa al datore di lavoro che non rispetta questi paletti e ottenere un risarcimento per la “perdita di chance” subita. A tal proposito, però, serve dimostrare che la discriminazione è avvenuta nel concreto. Bisogna quindi documentare che sono stati preferiti altri candidati a parità di condizioni e tutti i comportamenti del datore di lavoro che rivelano un intento discriminatorio.
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