Le banche centrali in Europa oscillano tra lotta all’inflazione e sostegno alla crescita, con 3 grandi dilemmi da affrontare mentre cercano un equilibrio. La politica aggressiva sui tassi fallirà?
La politica sui tassi delle banche centrali in Europa deve affrontare almeno 3 dilemmi, che ne stanno mettendo a rischio la riuscita.
Il mese di settembre è stato cruciale per la definizione della strategia di lotta all’inflazione nel vecchio continente, con le principali banche centrali della regione, con Bce e Bank of England in testa, a confermare rischi e incertezze sul prossimo futuro.
In generale, l’elevata inflazione continua ad affliggere le famiglie e le imprese europee. Tuttavia, c’è stato un cambiamento di tono, poiché alcune banche centrali hanno interrotto gli aumenti dei tassi di interesse dopo quasi due anni, mentre altre sembravano ormai vicine al livello massimo del costo del denaro. Ciò ha attirato l’attenzione del mercato sulla durata del mantenimento dei tassi ai livelli attuali, in un contesto di tensioni sulla crescita economica.
I dubbi su cosa accadrà all’economia europea sono almeno 3 e riguardano la stabilità dell’intera area.
1. Crescita e calo inflazione: quale equilibrio?
Il primo grande dilemma per le banche centrali è stato sintetizzato da Carsten Brzeski, della banca olandese ING, che su Cnbc ha esposto il quesito: “come bilanciare il rallentamento delle economie, l’inflazione ancora troppo elevata e l’impatto ritardato di aumenti dei tassi senza precedenti?”
Trovare il giusto equilibrio sarà fondamentale, per evitare la recessione e allo stesso tempo prezzi al consumo elevati per troppo tempo.
La Bce, per esempio, ha alzato i tassi di 25 punti base a settembre, suggerendo che avrebbero potuto aver raggiunto un picco. Le previsioni aggiornate, intanto, hanno indicato una crescita solo dello 0,7% nell’Eurozona quest’anno e dell’1% l’anno prossimo, rispetto a quasi il 2% previsto per gli Stati Uniti nel 2023. L’inflazione, invece, è stata rivista al rialzo nel 2023 e nel 2024, pressata da nuove minacce, per esempio quella energetica.
La situazione economica, quindi, è molto delicata e necessita valutazioni profonde prima di ogni decisione. Non a caso, lunedì 25 settembre, il policy maker della Bce François Villeroy de Galhau ha messo in guardia: la Banca centrale europea è arrivata al punto in cui deve essere cauta nell’aumentare i tassi di interesse troppo alti e cercare di evitare un duro atterraggio dell’economia.
Villeroy ha affermato che il rischio di fare troppo – e forse di innescare una recessione – e il rischio di fare troppo poco sono ora simmetricamente bilanciati dopo la serie di rialzi dei tassi.
“Se la Bce facesse troppo, la banca centrale potrebbe correre il rischio di dover invertire rapidamente la rotta”, ha detto in una conferenza presso la banca centrale francese, di cui è anche presidente.
In questa frase sta tutto il senso del dilemma: tassi più alti, ma fino a quando e su quale livello per evitare che ci sia un crollo della crescita? La risposta, per ora, non è chiara.
2. Il prezzo del petrolio è una minaccia?
Il timore di un’impennata dei prezzi energetici sta complicando il compito della Bce e, in generale, delle banche centrali in Europa (ma anche della Fed), così vulnerabili agli squilibri nel mercato dell’energia.
La Bce, per esempio, prevede che l’inflazione si manterrà al di sopra del 3% l’anno prossimo e la vede al di sotto del target del 2% solo nell’ultimo trimestre del 2025.
“Sebbene l’attuale rimbalzo dei prezzi del petrolio non sia stato uno shock generale dei prezzi delle materie prime come nel 2021-2022, deve essere monitorato per il possibile effetto a catena sulle aspettative di inflazione e sui salari”, ha affermato Villeroy.
Il punto è cruciale. Se, infatti, l’arduo compito di tutte le banche centrali è riportare a livelli normalizzati l’inflazione, il balzo del greggio può sconvolgere ogni piano.
Come ricordato da Carsten Brzeski, il recente aumento dei prezzi del petrolio pone un ulteriore grattacapo, alimentando potenzialmente l’inflazione e rallentando la crescita economica – e rendendo le future decisioni sui tassi di interesse ancora più difficili da prendere.
L’inflazione, in fondo, non è ancora sotto controllo. Per esempio, il governatore della Banca nazionale svizzera, dopo una pausa nei rialzi dei tassi, ha dichiarato alla CNBC che “la guerra contro l’inflazione non è ancora finita”, aggiungendo che la banca centrale svizzera continuerà a monitorare le pressioni inflazionistiche. Ciò potrebbe comportare un ulteriore inasprimento a dicembre, ha sottolineato Jordan.
Nel frattempo, nel Nord Europa, la Norvegia e la Svezia hanno optato per un rialzo dei tassi e hanno suggerito che potrebbero essere in vista ulteriori inasprimenti. Come altre banche centrali, quella norvegese ha segnalato l’incertezza nelle sue prospettive, sottolineando che le pressioni inflazionistiche e la debolezza della corona potrebbero spingerla ad aumentare ulteriormente i tassi.
Sullo sfondo, quindi, c’è il dilemma petrolio che corre verso i 100 dollari al barile e che può far naufragare la strategia delle banche centrali, che vorrebbero allentare la stretta sui tassi per evitare ripercussioni troppo forti sull domanda.
3. Fino a quando i tassi saranno così elevati?
Questa è la domanda delle domande per le banche centrali: con un picco del costo del denaro in arrivo, per quanto tempo occorre mantenere così elevati i tassi per favorire un clima equilibrato tra crescita e calo dei prezzi?
In sostanza, nessuno riesce a prevedere quando si potrà cominciare a tagliare il costo del denaro.
Nel Regno Unito, per esempio, il governatore della BoE Andrew Bailey ha affermato che il comitato “osserva attentamente per vedere se saranno necessari ulteriori aumenti”, dopo la decisione a sorpresa di prendersi una pausa.
Mentre Capital Economics prevede che i tagli dei tassi saranno attuati alla fine del 2024 e saranno “più profondi e più rapidi di quanto ampiamente previsto”, gli economisti di HSBC non vedono cali su un orizzonte di 15 mesi. Simon French, capo economista di Panmure Gordon, ritiene nel frattempo che sia troppo presto per fare previsioni affidabili sui tempi del primo taglio dei tassi di interesse, data la mancanza di “parametri per l’allentamento”.
Questa incertezza che coinvolge il Regno Unito è la stessa in Eurozona. I prezzi di mercato suggeriscono una prospettiva economica più negativa in Europa e l’aspettativa che la banca centrale possa essere conseguentemente spinta a tagliare entro la metà del prossimo anno.
Anche la Svezia ha vissuto una grave flessione del mercato immobiliare e la Riksbank prevede che l’economia nazionale si contrarrà dello 0,8% quest’anno e dello 0,1% il prossimo. Ciò ha portato Capital Economics a prevedere tagli dei tassi prima della metà del prossimo anno, “prima e più velocemente” di quanto segnalato dalla banca centrale svedese.
Tuttavia, Brzeski di ING ha osservato che la duplice forza delle pressioni inflazionistiche e della crescita più debole potrebbe generare un risultato diverso, data la difficoltà delle decisioni future per tutte le banche centrali.
“Le banche centrali più preoccupate per la propria credibilità e per l’impatto a lungo termine sulle aspettative di inflazione, come la Bce e la Riksbank, potrebbero finire per continuare ad aumentare i tassi”, ha commentato.
Il 2024 sarà quindi un anno ancora cruciale, e per ora molto incerto, per il percorso delle banche centrali e per l’economia in Europa.
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