Le proteste contro il lockdown e la quarantena si diffondono in tutto il mondo. Anche in Cile la gente è - di nuovo - scesa in strada. Ai tempi del coronavirus, qui la povertà è il grande nemico da abbattere. Disuguaglianza e miseria sono ai massimi livelli
Le proteste in Cile sono un segnale molto più profondo del malessere contro il lockdown.
Lo Stato latinoamericano, infatti, è piombato nell’epidemia in un momento storico per il Paese: la tensione sociale era già ai massimi livelli da ottobre, quando violente manifestazioni di piazza avevano scosso l’apparente equilibrio della nazione.
Ora, nel pieno delle misure restrittive imposte per arginare l’infezione, i cittadini stanno nuovamente esprimendo la rabbia - solo sopita - contro disuguaglianza sociale e grande povertà.
Cosa sta succedendo in Cile e quali scenari aspettarsi?
In Cile torna la protesta: ecco perché
La quarantena insostenibile per i più poveri è soltanto la facciata della protesta in Cile. Se, infatti, in molti Paesi del mondo i cittadini stanno esprimendo la loro rabbia contro le misure restrittive prolungate, auspicando di tornare alla normalità, nella nazione latinoamericana è proprio la normalità a provocare indignazione.
Lunedì 18 maggio si sono verificati scontri tra polizia e manifestanti a El Bosque, comune metropolitano di Santiago, uno dei posti più poveri dello Stato. Pietre e bastoni sono stati lanciati contro gli agenti, che hanno risposto con lacrimogeni.
Sono tornate, quindi, le scene di guerriglia urbana che avevano sconvolto il Cile nell’ottobre scorso. Le motivazioni della rabbia sociale sono ancora tutte intatte e, nell’esasperazione del confinamento della città imposto per un’impennata di contagi, sono uscite fuori.
Non si protesta contro la quarantena, ma contro la fame: così hanno urlato i manifestanti, che stanno letteralmente sopravvivendo con pochissimi viveri e risorse chiusi in casa e sena più lavoro.
Tra i mesi di marzo e aprile i disoccupati sono aumentati di mezzo milione. Un numero inquietante in un Paese dove la disuguaglianza sociale è elevata e la miseria profonda.
Per rispondere alle richieste dei cittadini, i funzionari locali hanno distribuito 2.000 pacchetti di aiuto. Insufficienti per sfamare tutti i bisognosi.
“Stiamo affrontando una situazione piuttosto complessa di fame e mancanza di lavoro. Oltre il 10% dei comuni come il nostro si trova in una situazione di estrema povertà. Ci sono circa 5.000 famiglie, 20.000 persone che stanno già affrontando questa condizione”
L’appello del sindaco di El Bosque è stato accorato. Sebastian Pinera ha dichiarato in un discorso televisivo il Governo consegnerà 2,5 milioni di cestini di cibo e prodotti per la pulizia direttamente alle case entro nei prossimi giorni.
La sensazione, però, è che ormai la situazione sia precipitata. Il Cile rischia di ripiombare nella più violenta rivolta sociale. Con l’aggravante del coronavirus.
Dalla pandemia alla rivolta sociale: ipotesi Cile
Non è improbabile che le prime proteste in Cile siano solo l’inizio di un ritorno in strada contro la dilagante miseria nel Paese.
La pandemia ha bloccato importanti eventi democratici nella nazione, come il referendum per cambiare la Costituzione, retaggio della dittatura di Pinochet e simbolo del liberismo portatore di una forte disuguaglianza.
L’America Latina, pressata dall’aumento allarmante dei positivi, dalla penuria sanitaria e dalla esistente povertà, spesso ignorata dai governanti, potrebbe davvero esplodere.
In Cile le proteste di ottobre si erano esaurite. Il processo di cambiamento richiesto dalla popolazione doveva ancora iniziare. Lo scenario non è dei migliori.
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