Ecco cosa c’è da sapere sulla residenza di colf e badanti: quando può (e quando deve) essere nella casa dell’assistito.
La questione della residenza di colf e badanti è sempre un po’ spinosa. I fattori da prendere in considerazione sono tanti, ma è essenziale rispettare la legge. La regolamentazione del lavoro domestico è fondamentale per tutelare i collaboratori, sempre nel rispetto degli interessi e dei diritti del datore di lavoro. Ecco cosa prevede la legge in proposito.
Colf e badanti possono avere la residenza nella casa dell’assistito?
Quando si parla di residenza in riferimento a colf e badanti bisogna necessariamente distinguere tra coloro che hanno già la residenza in Italia prima dell’assunzione e chi invece ne è privo. La differenza è infatti fondamentale per comprendere i doveri del datore di lavoro e le sue facoltà.
Quando il collaboratore domestico o l’assistente domiciliare è italiano il datore di lavoro non è tenuto a riconoscere la residenza presso di sé (per semplificare, prendiamo l’ipotesi in cui il datore di lavoro coincide con l’assistito). Di conseguenza colf e badanti conviventi possono trasferire la residenza nella stessa casa dell’assistito con il consenso di quest’ultimo, ma non possono pretenderlo. I lavoratori possono mantenere la residenza italiana anche altrove, pur figurando come collaboratori conviventi, preferibilmente trasferendo tuttavia il domicilio presso il datore.
Tutto cambia quando colf e badanti non hanno una residenza italiana, perché cittadini di un altro Stato dell’Unione europea o extracomunitario. In questo caso, l’assunzione può essere completata soltanto con un domicilio in Italia. Quest’ultimo (che per i cittadini extracomunitari è subordinato al nulla osta dello sportello per l’immigrazione) ha una validità di 3 mesi, oltre la quale è necessaria l’iscrizione all’Anagrafe della popolazione residente.
In questo caso, il datore di lavoro non può rifiutare di concedere la residenza a badanti e colf, dovendo altrimenti rinunciare al rapporto di lavoro. Questo stesso principio si applica anche a un’altra situazione particolare, ossia quella in cui il lavoratore ha ancora la residenza presso il precedente datore. Per la regolarizzazione del rapporto di lavoro domestico dovrà essere concessa la residenza, a meno che il dipendente non la trasferisca altrove, purché in Italia.
Quanto alla residenza di colf e badanti non conviventi, la questione si fa ancora più complessa. Molte più persone di quanto si pensi si domandano infatti come funzioni la residenza per i collaboratori non conviventi, in particolar modo quando i datori offrono l’ospitalità indipendentemente dal contratto di lavoro. In tal proposito bisogna necessariamente prendere in considerazione l’ipotesi del lavoratore con residenza in Italia, non coincidente con quella del precedente datore di lavoro.
In questo caso infatti il datore di lavoro nuovo non ha alcun obbligo di fornire la propria abitazione per la residenza del collaboratore domestico o dell’assistenza domiciliare. Quest’ultimo può farne richiesta e rispettare la decisione del datore di lavoro, comunque tenuto al rispetto degli obblighi contrattuali in riferimento a vitto e alloggio. Quando il datore di lavoro è favorevole e il badante o il colf è convivente non si pongono problemi particolari. È sufficiente comunicare l’ospitalità all’autorità e inoltrare la comunicazione di cessione del fabbricato.
È inoltre opportuno accertarsi che l’alloggio sia in condizioni idonee, dal punto di vista della sicurezza e del benessere del lavoratore. Quando il lavoratore che ne fa richiesta non è convivente, tuttavia, la situazione è completamente diversa. Il datore di lavoro potrebbe essere favorevole all’ospitalità, senza tuttavia avere intenzione di modificare il rapporto di lavoro.
Si tratta di un confine molto labile, con un elevato rischio in tema di lavoro nero e relativi accertamenti, motivo per cui è preferibile consultare un professionista prima di compiere passi falsi. In linea generale, tuttavia, è preferibile non trasferire la residenza del collaboratore domestico o dell’assistente domiciliare non convivente presso l’assistito. Le ipotesi di ospitalità temporanea, peraltro, non necessitano dello spostamento della residenza, posto che bisogna rispettare a prescindere la normativa del lavoro.
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