Come fa Shein ad avere prezzi così bassi?

Chiara Esposito

14/05/2022

L’impatto sommerso della fast fashion: come orientarsi consapevolmente sul mercato della moda low cost.

Come fa Shein ad avere prezzi così bassi?

Nella cultura mainstream degli ultimi anni l’acquisto di abbigliamento online, pratica a lungo snobbata dal forte scetticismo su taglie e vestibilità, è stato sdoganato in via definitiva e la piattaforma di e-commerce di Shein si promuove da tempo come un (se non il) leader del settore, nota com’è per le sue offerte last minute ma anche e soprattutto per il rinnovo incessante del suo ampio catalogo.

Prendendo ispirazione da questo modello, o implementando la produzione per restare competitivi rispetto al colosso, oggi sono sempre più i brand di vestiario che si affacciano sul mercato del consumo di massa con prezzi stracciati e una varietà di collezioni annuali impressionante.

Queste però sono due variabili pericolose da accostare così come il meccanismo che permette loro di bilanciarsi: il fenomeno della fast fashion, sviluppatosi a partire dagli «slop shop» passando per la rivoluzione industriale e il secondo conflitto mondiale fino ai nostri giorni.

La moda low cost, contrariamente a quando si pensa, si paga infatti a caro prezzo; ma il suo impatto è sommerso.

Ambiente, salute e concezione etica del lavoro sono i temi portanti di una doverosa riflessione, dati alla mano, per diffondere consapevolezza nei consumatori. Ripercorriamo quindi in breve l’ascesa di Shein per comprendere da un lato i motivi del suo successo, dall’altro le conseguenze che determinati acquisti hanno al di là del proprio guardaroba.

Il segreto del successo di Shein

Shein, ex «Sheinside», è una società fondata nel 2008 dall’imprenditore Chris Xu. Contrariamente a quanto sostenuto a novembre 2021, l’app non intende approdare in Borsa ma la compagnia nel 2020, secondo Forbes, ha fatturato 8,5 miliardi di euro. Per intenderci il doppio rispetto ai 4,5 del 2019.

Complice la pandemia, complice l’implementazione delle strategie di mercato, l’e-store è in espansione.

Sulla carta l’azienda dichiara di avere tre sedi in tutto il mondo, una a Nanjing e altre due negli USA e in Europa, ma non viene specificata alcuna localizzazione. La produzione invece è esclusivamente cinese nonostante nel Paese non venga venduto nessun capo del marchio.

Sui suoi ritmi produttivi, la rivista Fashion Network, riporta dati piuttosto sensibili: dall’ideazione al confezionamento di un capo trascorrono solo 3-6 giorni lavorativi. Il motivo di questa rapidità sembra essere l’impiego di un software d’intelligenza artificiale. In poche parole è un algoritmo a disegnare i capi e il processo è consentito dall’addestramento costante della macchina su moli sempre nuove di fonti social (immagini e like) usati come metro di misurazione per le previsioni sui consumi degli utenti. Lo studio del comportamento d’acquisto è quindi demandato all’impiego dei big data.

Questo insomma il segreto del ricchissimo catalogo, ma le politiche di prezzo come vengono mantenute?

Il prezzo di una moda senza costi è tutto umano

Shein è presente 220 nazioni con 10.000 dipendenti. Dalle dichiarazioni ufficiali si legge come il brand si definisca orgoglioso di offrire “a donne e adolescenti l’opportunità di permettersi le ultime tendenze a prezzi democratici”. Il problema è che per posizionarsi con prezzi tanto aggressivi, l’invio di capi gratuiti e resi illimitati sono proprio donne e adolescenti a rimetterci, anche se non nel modo in cui canonicamente siamo abituati a pensare.

Sul sito l’azienda afferma di trattare bene i propri dipendenti ma l’ONG svizzera Public Eye ha denunciato più volte il ricorso a lavoro forzato o sfruttamente minorile nelle fabbriche. Secondo l’ente i locali hanno pochissime garanzie di sicurezza e le settimane lavorative possono superare le 75 ore per soli 1.370 euro nei mesi più floridi.

La questione non è solo scottante di per sé, ma anche illegale rispetto alla stessa legislazione cinese che prevede un massimo di 40 ore settimanali e 36 ore di straordinario al mese.

Non solo, fino al 26 luglio 2021, Reuters, riporta come sul sito si trovavano dichiarazioni false. Si sosteneva infatti che gli ambienti fossero certificati da organismi internazionali per gli standard del lavoro (Organizzazione Internazionale per la standardizzazione).

Le risposte aziendali a queste denunce però sono state inesistenti e l’unico faro acceso sul tema è campagna «#PayYourWorkers» condotta da Amnesty International.

Ce lo chiede l’ambiente: i report sulla carbon footprint

Altro grande tema è quello dei rifiuti poiché spesso i capi lowcost finiscono in breve tempo in discarica ma risultano difficili da riciclare.

Il motivo è la composizione dei tessuti, per la maggior parte di fibre sintetiche che non possono essere smaltite in modo naturale. Il lungo deposito di questi capi porta al rilascio nel suolo di sostanze chimiche nocive tipiche dei coloranti mentre, una volta arrivati agli inceneritori, se questi non sono regolamentati, si contribuisce all’inquinamento atmosferico. A monte in realtà il problema è la tintura per l’apporto di acqua necessaria così come per i metodi di produzione del poliestere, derivato dal petrolio e principale responsabile delle microplastiche presenti nei mari.

Una ricerca di Nature Reviews Earth & Environment conferma come, con circa 5.000 milioni di tonnellate di CO2 rilasciate annualmente, l’intera industria della moda è responsabile dell’8-10% delle emissioni mondiali e che, se non cambia nulla, potrebbe rappresentarne il 26% entro il 2050.

A rischio gli stessi clienti: rilevati alti livelli di piombo

I rischi però non sono solo indiretti. Lo chiarisce un’inchiesta canadese sulle produzioni di Shein, AliExpress e Zaful che vede nei prodotti il rilevamento di piombo, pfas (considerati “forever chemicals” perché non vengono eliminati dal corpo e non si decompongono nell’ambiente) e ftalati. Le sostanze sarebbero presenti in 1 campione su 5 dei 38 analizzati dal programma di CBC Marketplace.

Come si legge sulla CBC News:

Gli scienziati hanno scoperto che una giacca per bambini piccoli, acquistata dal rivenditore cinese Shein, conteneva quasi 20 volte la quantità di piombo che secondo Health Canada è sicura per i bambini. Una borsa rossa, anch’essa acquistata da Shein, conteneva più di cinque volte la soglia.

Gli effetti di questa sostanza sono dannosi per cervello, cuore, reni e sistema riproduttivo con particolare incidenza su bambini e donne incinte.

Alcuni studiosi interpellati dall’emittente dicono:

Se il prodotto finale non è sicuro per me, non lo è neanche per i lavoratori che maneggiano queste sostanze chimiche per realizzarlo.

La risposta di Shein questa volta però c’è stata: una dichiarazione via e-mail a Marketplace annunciando di aver rimosso la borsa e la giacca incriminate dall’app. Ma è davvero sufficiente far marcia indietro in maniera così tardiva e parziale?

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# Moda

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