Sponsorizzato

I contratti di sponsorizzazione per lo sport: aspetti legali

Francesca Nunziati

4 Ottobre 2022 - 16:13

Con il contratto di sponsorizzazione lo sponsor si impegna a fornire denaro o beni e servizi ad un altro soggetto, c.d. sponsorizzato, in cambio di una promozione. Vediamo gli aspetti giuridici.

I contratti di sponsorizzazione per lo sport: aspetti legali

In primo luogo bisogna capire che il contratto di sponsorizzazione è un contratto atipico in quanto non è disciplinato né dal codice civile né da leggi speciali.

La Corte di Cassazione, nel lontano 1997, aveva definito in modo efficace il contratto di sponsorizzazione individuandolo come “figura non specificatamente disciplinata dalla legge, che comprende una serie di ipotesi nelle quali si ha che un soggetto, il quale viene detto sponsorizzato, si obbliga a consentire, ad altri, l’uso della propria immagine pubblica e del proprio nome per promuovere un marchio o un prodotto specificatamente marcato, dietro corrispettivo” (Cass. Civ. n. 9880/1997).

Con la sponsorizzazione, in sostanza, lo sponsee cede allo sponsor il diritto di associare il proprio marchio o prodotto alla manifestazione o evento sportivo partecipato, cosicché lo sponsor possa profittare della notorietà e capacità attrattiva di atleti e avvenimenti sportivi per accrescere positivamente la propria immagine e dunque aumentare, in maniera indiretta, le vendite.

Ma analizziamo più nel dettaglio i vari requisiti.

Le parti del contratto

Dalla definizione data al contratto di sponsorizzazione dalla Suprema Corte possiamo, pertanto, pervenire in primo luogo alla individuazione dei soggetti che possono stipulare detto contratto.

Solitamente il contratto di sponsorizzazione è un contratto tra due parti: lo sponsorizzato (chiamato anche sponsee, termine di derivazione anglosassone) ossia l’atleta o la società sportiva che acconsenta che il proprio nome, la propria immagine e i propri segni distintivi, come ad esempio, il nickname, le iniziali o il proprio logo, siano utilizzati/sfruttati dal punto di vista commerciale abbinati al brand dello sponsor che è l’azienda che dovrà eseguire una prestazione di carattere economico in favore dello sponsorizzato.

Come emerge chiaramente, il contratto di sponsorizzazione è un contratto a titolo oneroso e, come detto, di solito bilaterale ma vi sono due eccezioni sul punto:

  • la prima è che l’atleta potrebbe aver ceduto lo sfruttamento e/o l’utilizzo dei propri diritti di immagine a una società di management che si occupa, per l’appunto, di gestire l’immagine di atleti; in tal caso, per l’effetto di tale cessione non sarà lo sportivo a sottoscrivere il vincolo contrattuale con lo sponsor bensì la società di management in forza di altro contratto denominato di “mandato”.
  • la seconda eccezione riguarda fattispecie nelle quali è la Federazione di quella disciplina che si sostituisce allo sportivo stipulando direttamente il contratto con lo sponsor e, successivamente, riversare all’atleta il compenso.

Le prestazioni delle parti

Quali sono, dunque, le prestazioni costituenti l’oggetto del contratto di sponsorizzazione, che le parti devono eseguire?
L’atleta (o società) assume l’obbligo di veicolare il nome e/o il marchio dello sponsor ossia a portare sulla propria divisa il nome dello sponsor, a utilizzare il materiale tecnico fornito dallo sponsor, abbigliamento, calzature oppure assumere bevande fornite dallo sponsor, potrà impegnarsi a partecipare a eventi, raduni, fiere, conventions organizzate dallo sponsor ed essere in linea generale “testimonial dello sponsor”.

Si evidenzia che le suddette obbligazioni e comunque tutte le obbligazioni che lo sportivo (o la società) assume nei confronti dello sponsor sono obbligazioni di mezzi e non di risultato: egli deve fare tutto il possibile per veicolare e diffondere il marchio e il nome dello sponsor ma non può ovviamente garantire il risultato, ossia il “ritorno pubblicitario”.

Lo sponsor a sua volta deve provvedere a erogare il “prezzo” del contratto che può avvenire attraverso la corresponsione di una somma di denaro o tramite la consegna di materiale strumentale all’esercizio dell’attività dello sponsee (scarpe, magliette, pantaloncini, tute, e così via) oppure attraverso l’obbligo di prestare assistenza tecnica.

Riguardo al compenso in denaro esso può essere determinato in maniera fissa, con erogazione alla sottoscrizione del contratto o in varie tranches oppure può consistere in una serie di bonus legati al raggiungimento di determinati risultati quali ad esempio, il numero di gol segnati (o di rigori parati, nel caso di un portiere), il numero di presenze, i miglioramenti delle prestazioni misurabili in termini cronometrici o di distanza. Spesso, però, la modalità contrattuale è quello di un compenso fisso associato a dei bonus legati al raggiungimento di specifici risultati.

Ormai di comune ricorrenza è inoltre l’inserimento delle c.d. clausole di valorizzazione (maggiormente note ai più come “bonus”), con cui lo sponsor assume l’obbligo di versare allo sponsee, in aggiunta al corrispettivo pattuito, somme ulteriori in funzione dell’acquisizione di determinati risultati sportivi (numero di gol o punti segnati, numero di presenze, raggiungimento di record o miglioramenti prestazionali suscettibili di rilevazione).

Accanto alle prestazioni principali, come s’è fatto cenno, è sempre più diffuso l’inserimento di clausole che stabiliscono obblighi accessori, con cui poter pervenire a una migliore definizione e articolazione del rapporto di sponsorizzazione: ne rappresentano esempi le clausole di esclusiva, di non concorrenza, di previa approvazione delle campagne pubblicitarie da parte dello sponsee di prelazione e le c.d. morality clauses (che fanno dipendere lo scioglimento del contratto e/o il pagamento di una penale al ricorrere di determinate condotte comportamentali dello sponsee).

Le controversie

In caso di controversie circa l’interpretazione, esecuzione e inadempimento del contratto di sponsorizzazione occorre individuarne la competenza. In passato, si indicava un Foro esclusivo che spesso era favorevole allo sponsor, coincidendo con il luogo in cui vi era la sede legale.

Attualmente si ritiene preferibile deferire l’eventuale controversia a un arbitrato, inserendo nel contratto di sponsorizzazione una clausola compromissoria ai sensi dell’art. 808 del codice civile. Pertanto, i contratti che contengano tale clausola saranno devoluti a un arbitrato che avrà forma “rituale” ossia la pronuncia avrà efficacia di un provvedimento giudiziario a differenza del provvedimento che definisce l’arbitrato “irrituale” che ha una valenza solamente negoziale. L’arbitrato presenta, tuttavia, un elemento sfavorevole in quanto presenta costi più alti rispetto a un procedimento civile ordinario, pertanto, per casi economicamente meno rilevanti sarebbe preferibile ancora adire il giudice ordinario.

Gli aspetti fiscali

Passando alla trattazione del tema degli sponsor, bisogna partire dall’assunto che nei passati due decenni tale attività è stata anche oggetto di veri e propri abusi da parte di imprese e persone fisiche che “facendo carte false” ne sfruttavano la deducibilità fiscale.

L’evoluzione giurisprudenziale sul tema è stata costante. Con la sentenza n. 969/2014, la Commissione Tributaria Provinciale di Firenze ha asserito che il valore dei contratti di sponsorizzazione sportiva stipulati da un’Associazione Sportiva Dilettantistica che violano il principio dell’inerenza, risulta essere indeducibile dai componenti del reddito d’impresa. A far chiarezza sul tema è intervenuta la Corte di Cassazione che con la sentenza n. 5720/2016 ha sancito che costituiscono spese di rappresentanza quelle affrontate “per iniziative volte ad accrescere il prestigio e l’immagine dell’azienda ed a potenziarne le possibilità di sviluppo; mentre vanno qualificate come spese pubblicitarie o di propaganda quelle erogate per realizzare iniziative tendenti prevalentemente anche se non esclusivamente, alla pubblicizzazione di prodotti, marchi e servizi, o comunque dell’attività svolta”.

Le spese di sponsorizzazione, essendo finalizzate all’ottenimento di un ritorno economico in capo allo sponsor, richiedono l’esistenza di un nesso inferenziale tra l’attività svolta dal soggetto sponsorizzato e la società che eroga le somme; in assenza del descritto nesso, la spesa sostenuta non può qualificarsi come spesa di pubblicità, bensì di rappresentanza, e come tali soggette alle limitazioni di deducibilità (Cass. n. 3433/2012).

Per la dottrina l’articolo 90, comma 8, introduce una esimente alla normativa e alla giurisprudenza richiamata. Nello specifico, la Suprema Corte conclude che è proprio il comma 8 dell’articolo 90 a qualificare ex lege tali spese come pubblicitarie, se:

  • il soggetto sponsorizzato sia una compagine sportiva dilettantistica,
  • sia rispettato il limite quantitativo di spesa,
  • la sponsorizzazione miri a promuovere l’immagine e i prodotti dello stesso sponsor,
  • il soggetto sponsorizzato abbia effettivamente posto in essere una specifica attività promozionale (es. apposizione del marchio sulle divise, esibizione di striscioni e/o tabelloni sul campo di gioco, ecc.).

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