Cos’è il “brain rot” e perché è la parola dell’anno

Antonella Coppotelli

4 Dicembre 2024 - 18:03

Secondo l’Oxford English Dictionary, “brian rot” che indica il decadimento del cervello è la parola del 2024 come conseguenza della continua esposizione ai contenuti digitali.

Cos’è il “brain rot” e perché è la parola dell’anno

L’Oxford English Dictionary ha annunciato che “brain rot” è stata eletta parola dell’anno 2024. Questo termine, che ha guadagnato popolarità in maniera esponenziale, riflette preoccupazioni crescenti legate agli effetti negativi del consumo eccessivo di contenuti digitali poco stimolanti. La scelta è stata il risultato di un voto pubblico che ha coinvolto oltre 37.000 persone, seguita dall’analisi linguistica degli esperti di Oxford, i quali hanno evidenziato un aumento del 230% nell’uso del termine tra il 2023 e il 2024.

Cos’è il “brain rot”?

Secondo la definizione dell’Oxford English Dictionary, “brain rot” descrive il deterioramento dello stato mentale o intellettuale, attribuito principalmente al consumo eccessivo di contenuti considerati banali o non sfidanti. Il termine, già utilizzato nel 1854 da Henry David Thoreau in Walden, ha oggi un significato più specifico nell’era digitale, dove si applica a fenomeni come la dipendenza dai social media e la proliferazione di contenuti virali di scarsa qualità a cui siamo sottoposti quotidianamente e che, in più di un’occasione, scegliamo consapevolmente di consumare attraverso uno scroll infinito.

Una critica alla cultura digitale

“Brain rot” è diventato un simbolo dell’era moderna, soprattutto tra i giovani delle generazioni Z e Alpha, che hanno adottato il termine in maniera ironica per descrivere l’impatto nocivo del consumo di contenuti come meme, video virali e altre forme di intrattenimento digitale. Sebbene spesso sia utilizzato in contesti leggeri, il termine evidenzia preoccupazioni serie, come il potenziale declino delle capacità cognitive e il rischio di alienazione sociale. Questi effetti sono particolarmente preoccupanti per la salute mentale dei giovani, spingendo genitori ed educatori a cercare strategie per contrastarli. Nello specifico ne abbiamo parlato anche nel nostro Libro Bianco sull’Educazione Digitalenel capitolo dedicato a Educazione Digitale e Salute Mentale a firma della Professoressa Anna Maria Giannini e della Dottoressa Emanuela Mari.

L’educazione digitale come strumento di prevenzione

La crescente preoccupazione per il fenomeno del “brain rot” sottolinea l’importanza dell’educazione digitale come strumento di prevenzione. In un mondo sempre più connesso, è fondamentale insegnare ai giovani (ma anche agli adulti) non solo a utilizzare la tecnologia in modo responsabile, ma anche a sviluppare un pensiero critico nei confronti dei contenuti che consumano. Tra le soluzioni possibili, emergono:

  • promozione del pensiero critico: insegnare ai ragazzi a riconoscere contenuti di qualità rispetto a quelli superficiali;
  • gestione del tempo online: aiutare le persone a bilanciare l’uso dei dispositivi digitali con attività offline, noia compresa, dal momento che questo stato continua a rappresentare ancora oggi la miccia per risvegliarsi dal torpore mentale;
  • valorizzazione della creatività: incoraggiare la produzione di contenuti educativi e stimolanti per contrastare la diffusione di materiale poco significativo.

Un termometro preoccupante della società

La scelta di “brain rot” come parola dell’anno rappresenta un capitolo cruciale nella conversazione globale sui rischi del mondo digitale. Come sottolineato da Casper Grathwohl, presidente di Oxford Languages, questo termine riflette un’autocoscienza generazionale e una crescente preoccupazione per l’impatto delle vite virtuali sulla nostra identità e benessere. Il dibattito stimolato da “brain rot” potrebbe fungere da catalizzatore per politiche educative e sociali più attente a bilanciare tecnologia e umanità. In definitiva, “brain rot” non è solo una critica al panorama digitale attuale, ma anche un invito a riflettere su come utilizzare le tecnologie per arricchire, anziché impoverire, le nostre vite.

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