Lavori in nero? Attenzione: rischi di perdere tutele come ferie, malattia e pensione. E il datore? è passibile di sanzioni e responsabilità penali.
Lavorare in nero conviene? O meglio: a chi conviene? Se pensi che sia solo una questione di soldi in tasca senza tasse da pagare, potresti rimanere sorpreso. Il lavoro nero, in Italia, non è solo un fenomeno diffuso, ma anche un problema serio, con conseguenze pesanti sia per il datore di lavoro che per il lavoratore.
Secondo l’ISTAT il lavoro sommerso ha coinvolto oltre 3,2 milioni di persone, con un’incidenza particolarmente elevata nei settori agricolo, edilizio, della ristorazione e del lavoro domestico. L’evasione contributiva generata dal lavoro irregolare è stimata in circa 11 miliardi di euro annui (dati INPS), con un impatto diretto sulla sostenibilità del sistema previdenziale. Le regioni più colpite dal fenomeno risultano essere Calabria, Campania e Sicilia, dove oltre il 20% dei lavoratori è impiegato in nero, mentre le aree con il tasso più basso sono il Trentino-Alto Adige e il Friuli-Venezia Giulia.
Cosa si intende per lavoro nero?
Il lavoro nero, noto anche come lavoro sommerso o irregolare, si riferisce a:
“qualsiasi attività lavorativa svolta senza un regolare contratto e senza le necessarie comunicazioni agli enti competenti, come il Centro per l’Impiego, l’INPS o l’INAIL.”
In altre parole, il lavoratore impiegato in nero è «invisibile» per lo Stato, poiché la sua assunzione non è stata formalmente registrata. Questa pratica ha conseguenze sia per il lavoratore che per il datore di lavoro.
Il lavoratore in nero è privo di copertura previdenziale e assicurativa, il che significa che non ha diritto a contributi pensionistici, indennità di malattia, infortuni sul lavoro o altre forme di protezione sociale. Inoltre, in caso di licenziamento, non può avvalersi delle tutele previste dalla legge, come l’indennità di disoccupazione o la possibilità di impugnare il licenziamento stesso.
È importante distinguere il lavoro nero dal cosiddetto «lavoro grigio». Mentre il lavoro nero implica una totale assenza di formalizzazione del rapporto lavorativo, il lavoro grigio si riferisce a:
«situazioni in cui esiste un contratto, ma le condizioni effettive di lavoro non corrispondono a quanto dichiarato, come nel caso di orari non registrati o retribuzioni inferiori a quelle ufficiali.»
Per il datore di lavoro, l’impiego di personale in nero costituisce una grave violazione delle normative vigenti e può comportare sanzioni amministrative e penali. Le sanzioni variano in base alla durata e al numero dei lavoratori coinvolti, e possono includere multe significative e, nei casi più gravi, la sospensione dell’attività imprenditoriale.
Lavoro nero: cosa dice la legge in materia
La normativa italiana sul lavoro nero è disciplinata da un complesso quadro legislativo che si è evoluto nel tempo per contrastare il fenomeno e garantire una maggiore tutela ai lavoratori. Uno dei principali riferimenti normativi è il D. lgs. n. 81/2008, noto come “Testo Unico sulla salute e sicurezza sul lavoro”, che all’art. 14 prevede:
“la sospensione dell’attività imprenditoriale in caso di impiego di personale non risultante dalle scritture o da altra documentazione obbligatoria.”
Un altro riferimento fondamentale è il D. lgs. 276/2003 (cosiddetta Legge Biagi), che ha introdotto strumenti per regolarizzare rapporti di lavoro atipici e prevenire il lavoro sommerso. Più recentemente, il Decreto Dignità (D.L. 87/2018, convertito in L. 96/2018) ha rafforzato i controlli, irrigidendo le sanzioni e introducendo restrizioni sui contratti a termine per evitare l’uso improprio del lavoro flessibile.
Sanzioni per il lavoro nero in Italia: cosa rischiano datore di lavoro e lavoratore
Il datore di lavoro che assume personale senza regolare contratto è soggetto a sanzioni amministrative significative, note come «maxi-sanzioni» .
L’entità della sanzione varia in base alla durata dell’impiego irregolare:
- fino a 30 giorni di lavoro irregolare: sanzione da €1.950 a €11.700 per ciascun lavoratore non dichiarato;
- da 31 a 60 giorni: sanzione da €3.900 a €23.400 per ciascun lavoratore;
- oltre 60 giorni: sanzione da €7.800 a €46.800 per ciascun lavoratore.
In caso di recidiva entro tre anni, le sanzioni possono essere aumentate del 20%. Inoltre, l’impiego di lavoratori stranieri senza permesso di soggiorno valido comporta ulteriori aggravanti.
Oltre alle sanzioni amministrative, il datore di lavoro che impiega personale in nero può incorrere in responsabilità penali in specifici casi. Se il lavoratore è straniero senza permesso di soggiorno, il datore rischia da sei mesi a tre anni di reclusione e una multa di 5.000 euro per ogni lavoratore irregolare (art. 22, c.12, D.lgs.n. 286/1998). Inoltre, il reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro (art. 603-bis c.p.), noto come caporalato, può comportare la reclusione da tre a sei anni e multe fino a 1.000 euro per ciascun lavoratore sfruttato. La gravità della sanzione dipende dalle condizioni di lavoro imposte e dall’eventuale assoggettamento del lavoratore a situazioni di grave sfruttamento.
È importante notare che queste sanzioni si applicano anche se il rapporto di lavoro non è di tipo subordinato, ma autonomo o parasubordinato, qualora manchi la comunicazione obbligatoria. Tuttavia, sono esclusi dalla maxi-sanzione i datori di lavoro domestico.
Sanzioni per il lavoratore
Il lavoratore impiegato in nero, pur non essendo soggetto a sanzioni pecuniarie, affronta diverse conseguenze negative:
- assenza di tutele previdenziali e assistenziali: non maturazione di contributi pensionistici e mancanza di copertura per malattia o infortuni sul lavoro;
- nessuna protezione in caso di licenziamento: impossibilità di accedere a indennità di disoccupazione o di impugnare il licenziamento;
- rischio di sanzioni in caso di percezione indebita di sussidi: se il lavoratore percepisce sussidi o indennità non spettanti, può essere soggetto a restituzione delle somme e a ulteriori sanzioni.
Denunciare un lavoro in nero: dalla raccolta delle prove al procedimento
Prima di intraprendere qualsiasi azione, è essenziale raccogliere tutte le evidenze che attestino l’esistenza del rapporto di lavoro irregolare. Queste possono includere comunicazioni scritte come email o messaggi, registrazioni di orari di lavoro, testimonianze di colleghi o terzi, fotografie sul luogo di lavoro e qualsiasi altro documento che possa comprovare l’attività lavorativa svolta.
Per incentivare le denunce e tutelare i lavoratori, l’ordinamento prevede alcune forme di tutela contro eventuali ritorsioni. Il datore di lavoro non può licenziare o discriminare chi segnala una situazione di irregolarità e, in caso di provvedimenti punitivi, il lavoratore ha diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro o a un risarcimento. Inoltre, per alcuni settori, esistono fondi di sostegno per lavoratori che denunciano situazioni di sfruttamento.
Presentazione della denuncia
Una volta raccolte le prove, il lavoratore ha diverse opzioni per presentare la denuncia.
- Ispettorato Territoriale del Lavoro (ITL): è possibile presentare una richiesta di intervento ispettivo compilando l’apposito modulo disponibile sul sito dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro. Nel modulo, è necessario fornire dettagli sul datore di lavoro, sul periodo e sulle condizioni lavorative, allegando le prove raccolte. La denuncia può essere presentata di persona, tramite raccomandata A/R o via PEC. È importante notare che, sebbene le denunce anonime non siano accettate, l’identità del denunciante è protetta e non verrà rivelata al datore di lavoro.
- Guardia di Finanza: un’altra via è quella di rivolgersi alla Guardia di Finanza, presentando una segnalazione dettagliata. Anche in questo caso, la denuncia può essere effettuata personalmente presso gli uffici competenti o tramite comunicazione scritta. La Guardia di Finanza ha l’obbligo di intervenire per verificare le irregolarità segnalate.
- Sindacati: i lavoratori possono anche rivolgersi ai sindacati, che offrono supporto nella gestione della denuncia e nell’interazione con le autorità. I sindacati possono assistere nella compilazione della denuncia e rappresentare il lavoratore durante le procedure conciliative o legali.
Procedura successiva alla denuncia
Dopo la presentazione della denuncia, l’Ispettorato Territoriale del Lavoro avvia un’indagine per verificare le irregolarità segnalate. Le indagini possono richiedere diverse settimane, a seconda della complessità del caso, e in presenza di violazioni accertate il datore è obbligato a regolarizzare il rapporto lavorativo, versando contributi arretrati e corrispondendo le retribuzioni dovute.
Risarcimento per il lavoratore in nero: quando è possibile ottenerlo
L’ art. 2126 c.c. prevede che:
“il prestatore di lavoro ha diritto alla retribuzione per il lavoro effettivamente svolto, anche se il contratto è nullo o non formalizzato.”
È importante notare che il lavoratore può richiedere le differenze retributive rispetto a quanto effettivamente percepito, includendo elementi come ferie non godute, tredicesima e quattordicesima mensilità, ove previste dal contratto collettivo applicabile.
Un caso concreto riguarda un lavoratore impiegato per oltre dieci anni senza contratto in un’azienda agricola, al quale è stato riconosciuto il diritto alla regolarizzazione contributiva e a un risarcimento pari a 50.000 euro per differenze retributive e danni subiti (Cass. civ., sez. lav., sent. n. 18412/2019).
Un altro caso significativo ha riguardato un lavoratore in nero licenziato senza preavviso, il quale ha ottenuto il riconoscimento di un indennizzo per licenziamento illegittimo, nonostante l’assenza di un contratto formale (Cass. civ., sez. lav., sent. n. 36547/2021).
Tutela in caso di infortunio sul lavoro
La giurisprudenza ha più volte affermato che le norme in materia di sicurezza sul lavoro si applicano anche ai lavoratori non regolarmente assunti. In caso di infortunio, il datore di lavoro è responsabile per le lesioni subite dal lavoratore in nero e può essere tenuto al risarcimento dei danni. La Corte di Cassazione ha ribadito che:
“l’assenza di un contratto formale non esonera il datore di lavoro dall’obbligo di garantire la sicurezza sul luogo di lavoro e di risarcire il lavoratore per i danni derivanti da eventuali infortuni (Cass. sent. n. 23809/2022).”
In questi casi occorre agire tempestivamente con il supporto di un avvocato, poiché le richieste di natura retributiva e risarcitoria sono soggette a termini di prescrizione. Infatti, il diritto a richiedere le retribuzioni arretrate si prescrive in cinque anni dalla cessazione del rapporto di lavoro.
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