Il Covid diventa malattia professionale: cosa cambia, per quali categorie e cosa spetta

Simone Micocci

19 Maggio 2022 - 16:14

Il Covid riconosciuto come malattia professionale per chi opera nei settori più a rischio: da Bruxelles il primo via libera, ecco cosa cambierebbe in Italia.

Il Covid diventa malattia professionale: cosa cambia, per quali categorie e cosa spetta

Siamo ancora all’inizio di un percorso, ma la strada appare ormai tracciata: il Covid sarà presto riconosciuto come malattia professionale, almeno in alcuni settori.

Come si legge sul sito del ministero del Lavoro, con il termine malattia professionale si intende “qualsiasi stato morboso che possa essere posto in rapporto causale con lo svolgimento di una qualsiasi attività lavorativa”. In caso di malattia professionale l’Inail indennizza i danni provocati dalla stessa, prevedendo prestazioni di carattere economico, sanitario e riabilitativo.

Fino a oggi il Covid viene trattato come una normale malattia, con l’assenza dal lavoro che viene retribuita al pari di quanto previsto per le altre patologie. Questo avviene anche in quei settori dove la probabilità di contrarre il Covid è molto alta, dove l’ambiente e le mansioni svolte possono essere causa di contagio. Si pensi, ad esempio, a chi lavora negli ospedali e nelle Rsa.

Tuttavia, adesso che il Covid sta per diventare un virus endemico, con il quale dovremo imparare a convivere, ecco che è arrivato il momento di riflettere su come un eventuale contagio sul lavoro deve essere trattato. Per il momento le discussioni stanno avendo luogo a Bruxelles, dove i governi europei hanno trovato un accordo a riguardo.

Covid malattia professionale: primo passo verso il riconoscimento

Durante l’ultima riunione del Comitato consultivo Ue per la sicurezza e la salute sul lavoro, a cui hanno preso parte i governi europei, i rappresentanti dei lavoratori e quelli dei datori di lavoro, è stato raggiunto un accordo molto importante: tutte le parti, infatti, concordano sul fatto che in alcuni settori il Covid debba essere riconosciuto come malattia professionale, con tutte le tutele del caso.

È bene sottolineare che si tratta solamente di un primo passo, in quanto l’iter è appena all’inizio. Adesso, infatti, la Commissione europea aggiornerà la raccomandazione sulle malattie professionali, la quale dovrebbe essere pronta entro la fine dell’anno. Dopodiché spetterà ai singoli Stati membri adattare la loro legislazione nazionale, riconoscendo maggiori tutele a coloro che, operando nei settori più a rischio, contraggono il Covid.

Covid malattia professionale: per quali settori

Come anticipato, l’accordo non vale per tutti i settori ma solamente per quelli in cui il rischio di contagio e strettamente legato alle mansioni svolte. Nel dettaglio, secondo quanto si legge nell’accordo sottoscritto durante il suddetto Comitato, il contagio di Covid dovrà essere riconosciuto come malattia professionale nei settori dell’assistenza sanitaria e domiciliare e dei servizi sociali, laddove dunque sussiste un comprovato rischio d’infezione.

Covid malattia professionale: cosa cambierebbe in Italia

La notizia dell’accordo è stata accolta con soddisfazione da Nicolas Schmit, commissario Ue per il Lavoro, secondo il quale si tratta di un “forte segnale politico per riconoscere l’impatto del Covid sui lavoratori e il contributo essenziale delle persone che lavorano nei servizi sanitari e sociali e di altri lavoratori a più alto rischio di contrarre la malattia”.

Come detto sopra, comunque, il potere dell’Ue si limita all’aggiornamento delle raccomandazioni sulle malattie professionali. Saranno poi i singoli Paesi membri a dover recepire tale indirizzo, implementando la normativa nazionale.

Cerchiamo di capire, dunque, cosa cambierebbe in Italia rispetto a oggi con il riconoscimento del Covid come malattia professionale per coloro che sono impiegati nei suddetti settori.

In tal caso, il contagio da Covid sul lavoro verrebbe trattato al pari di ogni altra malattia professionale, ossia una patologia la cui causa “agisce lentamente e progressivamente sull’organismo”. E di conseguenza chi si ammala di Covid avrebbe diritto a tutte le tutele riconosciute dall’Inail per chi contrae una malattia professionale, come ad esempio il diritto a una prestazione economica, sostitutiva della retribuzione, nel caso in cui il Covid impedisca di svolgere l’attività lavorativa.

Chi contrae il Covid, senza gravi sintomi, anziché avere diritto all’indennità di malattia, come funziona oggi, andrebbe a percepire la cosiddetta indennità giornaliera per inabilità temporanea assoluta, pari al 60% della retribuzione media fino al 90° giorno di assenza e al 75% per il periodo successivo.

Ricordiamo che questo varrà solamente per chi opera nei suddetti settori, mentre per gli altri il Covid sarà trattato ancora al pari di una normale assenza per malattia.

In caso di aggravamenti, inoltre, si avrà diritto ad altre prestazioni:

  • indennizzo in capitale per la menomazione dell’integrità psicofisica nel caso in cui venga accertato un grado di menomazione, causato dalla malattia professionale, dell’integrità psicofisica compreso tra il 6% e il 15%;
  • indennizzo in rendita per la menomazione dell’integrità psicofisica e per le sue conseguenze patrimoniali qualora la menomazione dell’integrità psicofisica sia compreso tra il 16% e il 100%.

Queste le tutele economiche, alle quali poi si aggiungerebbero anche quelle sanitarie e riabilitative, con il lavoratore che contrae il Covid che avrebbe diritto a una serie di prestazioni, come ad esempio alle prime cure ambulatoriali e alle cure riabilitative.

Questo è dunque quanto spetta oggi a coloro ai quali viene accertata una malattia professionale; le stesse tutele potrebbero esserci anche in caso di contagio Covid una volta che l’iter suddetto verrà completato, con i lavoratori impiegati nei servizi di assistenza sanitaria, domiciliare e nei servizi sociali, che potranno godere di una maggiore tutela rispetto a oggi.

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