Il cambio di Ccnl è un’operazione delicata che merita la massima attenzione da parte dei datori di lavoro. Analizziamo in dettaglio quando e come si può modificare il contratto collettivo
In tv e sulla stampa si sente spesso parlare di «contratto collettivo», associato a notizie come scioperi, aumenti degli stipendi o crisi aziendali. Ma sappiamo esattamente di cosa si tratta?
Il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (in sigla Ccnl) appartiene alle fonti che regolano il rapporto di lavoro dipendente, insieme a leggi, contratti territoriali e aziendali, usi interni.
Il Ccnl ha la duplice funzione di:
- fissare le condizioni economico normative del rapporto, come l’ammontare della paga base, gli scatti di anzianità e gli altri elementi che compongono la retribuzione, nonché il preavviso di licenziamento e dimissioni;
- regolare i rapporti tra le organizzazioni di rappresentanza dei datori di lavoro da un lato e dei lavoratori dall’altro.
Il campo in cui agisce ogni singolo contratto collettivo è definito in base al tipo di attività economico-produttiva svolta (settore metalmeccanica, pulizie o impianti sportivi, per esempio), alle realtà cui si rivolge (se trattasi di aziende industriali o al contrario cooperative o consorzi) e alle loro dimensioni (è il caso, tra gli altri, dei Ccnl Cemento, calce-industria e Cemento, calce-piccola industria).
Al di là di quella che è la competenza del singolo contratto collettivo, l’azienda potrebbe giungere alla decisione, per le ragioni più disparate, di passare da un accordo a un altro. È possibile farlo? Quali diritti hanno i lavoratori?
È possibile cambiare il contratto collettivo?
Il principio generale è quello per cui nel contratto collettivo di lavoro la «possibilità di disdetta spetta unicamente alle parti stipulanti, ossia alle associazioni sindacali e datoriali che di norma provvedono anche a disciplinare le conseguenze della disdetta» (così la Cassazione con la sentenza del 20 agosto 2019 numero 21537).
Al singolo datore di lavoro non è consentito pertanto recedere unilateralmente dal contratto collettivo anche se con un congruo preavviso.
Solo al momento della scadenza contrattuale «sarà possibile recedere dal contratto e applicarne uno diverso a condizione che ricorrano i presupposti di cui all’articolo 2069 c.c.» (ancora la Cassazione).
Esistono tuttavia una serie di differenze a seconda che l’azienda aderisca o meno a un’associazione di categoria.
Datore di lavoro iscritto a un’associazione di categoria
Le aziende sono libere di scegliere l’associazione di categoria a cui iscriversi. Tuttavia, una volta iscritte, sono tenute ad applicare il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro stipulato dalla realtà cui hanno aderito.
In queste ipotesi il Ccnl si applica a tutti i lavoratori, a prescindere dalla mansione concretamente svolta.
Il datore di lavoro che intende recedere dal contratto deve innanzitutto sciogliere il rapporto associativo con l’organizzazione di rappresentanza.
Ne consegue che l’azienda dovrà comunicare:
- la disdetta all’associazione di categoria cui è iscritta, a mezzo raccomandata A/R o Pec;
- il recesso dal contratto a tutte le parti firmatarie del Ccnl (sempre con raccomandata A/R o Pec);
- il recesso dal contratto collettivo ai lavoratori, mediante apposita comunicazione scritta.
Datore di lavoro non iscritto a un’associazione di categoria
Le aziende che non aderiscono a un’associazione di categoria possono decidere volontariamente di applicare un determinato Ccnl:
- in maniera esplicita, menzionandolo nel contratto individuale di lavoro;
- in maniera implicita, applicando spontaneamente e costantemente un determinato Ccnl.
Al contrario in caso di omessa adesione volontaria, il datore di lavoro è comunque tenuto a rispettare una serie di garanzie:
- il diritto dei lavoratori (sancito dall’articolo 36 della Costituzione) di ricevere una retribuzione proporzionata e sufficiente, comporta che i compensi non potranno essere inferiori all’importo dei minimi retributivi fissati dal Ccnl applicabile (in tal caso è possibile fare riferimento al contratto corrispondente alla categoria economica di appartenenza del datore di lavoro);
- la base imponibile su cui vengono calcolati i contributi previdenziali e assistenziali, non può essere alla retribuzione stabilita da contratti o accordi collettivi (ai sensi della legge numero 389/1989);
- in caso di assunzione di un lavoratore italiano all’estero, è obbligatorio applicare il trattamento economico-normativo non inferiore a quello contenuto nei Ccnl vigenti in Italia;
- in caso di trasferimento d’azienda (articolo 2112 del Codice Civile), i dipendenti ceduti hanno diritto, presso il datore di lavoro cessionario, al trattamento economico-normativo previsto dal contratto collettivo vigente alla data del trasferimento, fino alla sua scadenza, fatta salva la sostituzione con altro Ccnl applicato dalla cessionaria;
- per il rilascio del nulla osta all’assunzione di un lavoratore extracomunitario è richiesto il rispetto della parte retributiva del Ccnl.
Nei casi di aziende che non aderiscono a un’associazione di categoria, il cambio di contratto collettivo impone di:
- comunicare il recesso ai soggetti firmatari il Ccnl, via raccomandata A/R o Pec;
- trasmettere un’apposita comunicazione scritta ai lavoratori.
Quali sono gli effetti sui dipendenti in forza?
I dipendenti in forza riceveranno una comunicazione di cambio Ccnl in cui sarà indicata:
- la data di decorrenza della modifica Ccnl;
- il nuovo livello di inquadramento contrattuale;
- il nuovo trattamento economico.
Il passaggio da un contratto collettivo all’altro è di norma gestito con il cosiddetto «accordo sindacale di armonizzazione», tra il datore di lavoro e le rappresentanze sindacali.
Nel documento si possono definire:
- i livelli e le mansioni corrispondenti tra il «vecchio» Ccnl e il «nuovo»;
- periodi temporali «cuscinetto» per dare operatività graduale alle previsioni normative ed economiche del «nuovo» contratto collettivo;
- la sospensione di alcuni istituti in determinati periodi di tempo;
- la previsione di importi economici utili a sanare la differenza peggiorativa tra i due Ccnl.
Sotto quest’ultimo aspetto, è necessario che il datore di lavoro confronti la Retribuzione Annua Lorda (Ral) di ogni singolo dipendente in forza, con quanto lo stesso percepirà in virtù del nuovo contratto collettivo.
Nel caso in cui:
- la Ral in base al nuovo Ccnl sia superiore a quella del precedente si applicherà naturalmente la prima;
- la Ral in base al nuovo Ccnl sia inferiore a quella del precedente, in tal caso sarà riconosciuto un importo a titolo di superminimo non assorbibile, tale da colmare la differenza.
Un altro caso è quello degli scatti di anzianità, importi che maturano in singole quote, secondo una cadenza definita dal Ccnl, legata all’anzianità in azienda.
Ad esempio il contratto collettivo Commercio e terziario (Confcommercio) riconosce dieci scatti. Ciascuno di essi matura ogni tre anni di anzianità di servizio.
Ipotizziamo pertanto che il lavoratore, inquadrato al livello II abbia totalizzato sei scatti, ciascuno di essi del valore di 22,83 euro (136,98 euro lordi complessivi).
A seguito del passaggio a un nuovo contratto collettivo, il dipendente avrebbe diritto a quattro scatti, ognuno pari a 21,50 euro (86 euro lordi complessivi).
L’azienda, eventualmente secondo quanto definito nell’accordo di armonizzazione, riconoscerà gli scatti previsti dal nuovo Ccnl e attribuirà la differenza tra 136,98 ed 86 euro a titolo di superminimo non assorbibile.
Quali sono gli effetti sui neo assunti?
Per i lavoratori da assumere dopo il cambio Ccnl non si pone alcun problema. Nei loro confronti sarà applicato il nuovo contratto collettivo, da indicare opportunamente all’interno del contratto di assunzione.
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