Dazi, Apple lascia la Cina per questo Paese. Ecco perché

Ilena D’Errico

25 Aprile 2025 - 21:17

Apple lascia la Cina: entro il 2026 tutta la produzione cinese viene spostata in India per salvarsi dalla guerra commerciale.

Dazi, Apple lascia la Cina per questo Paese. Ecco perché

Apple sposta la produzione destinata agli Stati Uniti dalla Cina all’India, tutto per limitare quanto più possibile i danni di una guerra commerciale. L’azienda della mela aveva già cominciato a trasferire parte della produzione in India, un po’ per diminuire la dipendenza da Pechino, un po’ a causa dei disagi durante la pandemia. Nel complesso, molte aziende statunitensi si sono sforzate di diversificare i siti d’assemblaggio. La politica trumpiana non ha fatto che accelerare questo processo, tanto che ora Apple trasferirà in India la maggior parte della produzione oggi affidata alla Cina.

Si parla di oltre 60 milioni di iPhone venduti ogni anno negli Stati Uniti, un traguardo che Apple pensa di raggiungere entro il 2026. Questo sarebbe il progetto dell’azienda secondo le fonti del Financial Times, che comunque appare molto credibile. Per quanto l’azienda sia già in parte legata ad altri territori favorevoli per assicurarsi una catena produttiva vantaggiosa, tra cui Vietnam e Indonesia, l’India rappresenta una scelta strategica estremamente efficace.

Perché Apple lascia la Cina per l’India

L’India non è un’alternativa casuale alla Cina per Apple, che ha trovato in Nuova Delhi un connubio di vantaggi senza paragoni. Il punto di partenza, ovviamente, sono i dazi imposti da Donald Trump. Mentre Pechino è l’obiettivo colpito più duramente dagli Stati Uniti, l’India può vantare tariffe del “solo” 26% e perfino momentaneamente sospese. Certo, se si guarda ad altri Stati, o proprio all’Unione europea, o alla situazione precedente al Liberation day si tratta comunque di una percentuale considerevole. Nulla a che vedere con il 125% toccato a Pechino, tuttavia.

Certo, dalle ultime interazioni tra Jinping e Trump le tensioni potrebbero allentarsi, tanto che il tycoon ha ammesso una possibile diminuzione delle tariffe statunitensi. Senza dubbio il presidente statunitense ha apprezzato il primo passo, rappresentato dalla telefonata di Xi Jinping, pur volendo sottolineare che non rappresenta un “segno di debolezza”. Il leader cinese, d’altro canto, smentisce ogni ipotesi di negoziato. I rapporti tra le due potenze sono evidentemente compromessi e instabili, pertanto aziende come Apple sono comunque spinte ad accelerare i progetti di diversificazione avviati negli anni passati.

Narendra Modi, peraltro, ha avuto un approccio del tutto differente nei confronti delle tariffe commerciali statunitensi, e questo è proprio il secondo punto a vantaggio dell’India nelle mire dei grandi produttori statunitensi. Da subito aperto al dialogo, non soltanto ha rinunciato senza esitazione a rispondere con controdazi, ma ha persino dichiarato l’apertura a diminuire le tariffe già esistenti sulle importazioni statunitensi ed europee in India. Un atteggiamento che nelle trattative con Trump sembra ripagare, visto che anche nel fatidico giorno della liberazione americana il tycoon ha parlato di “governo amico” rispetto all’India.

Le probabilità di veder diminuire ulteriormente le tariffe sono quindi più alte rispetto alla Cina, come anche l’ipotetico dazio finale sull’India sarà quasi sicuramente inferiore a quello spettante a Pechino, il principale bersaglio di Donald Trump. Alla luce di ciò, la strategia di Apple (che aveva con anticipo relegato parte della produzione all’India) non appare più davvero controproducente. Pur trattandosi di un Paese decisamente colpito dai dazi, lo scenario di miglioramento è concreto. Anche considerando gli aumenti (inevitabili) e i costi legati agli spostamenti, sul lungo termine può rivelarsi una tattica funzionale. Il fatto che molti lavoratori che assemblano prodotti Apple siano in India, comunque, aiuta nel passaggio.

Nessun ritorno al made in Usa, vince l’India

In altri Stati le tariffe sono minori e quindi anche l’aumento dei costi per l’azienda, ma solo se si guarda alle proporzioni. Altrimenti, resta comunque più conveniente restare a Nuova Delhi, dove il bassissimo costo della manodopera ben compensa le tariffe rispetto ad altri Stati del mondo. Puntare a Paesi in cui i lavoratori hanno stipendi e tutele più onerosi sarebbe deleterio per Apple, che infatti non ha minimamente preso in considerazione la produzione locale.

Il famoso ritorno al “made in Usa” difeso da Trump si rivela anche in questo caso del tutto assente dagli effetti dei dazi. Una conseguenza prevedibile anche senza considerare sfruttamento dei lavoratori e scarsa attenzione all’ambiente, fermandosi soltanto alla superficie: un costo della vita irrisorio rispetto agli Stati Uniti. Per l’India, in particolare, si parla di meno di mezzo dollaro l’ora per la manodopera.

Per i Paesi in via di sviluppo potrebbe anche trattarsi di occasioni appetibili, ma ciò non toglie che a guidare queste scelte siano prettamente gli obiettivi di guadagno e riduzione delle spese. Non che ci sia un cambiamento importante da questo punto di vista, parte della produzione affidata alla Cina si sposta in India, per limitare le perdite di Apple e pure i rincari per i consumatori. Si tratta di riflessioni di tipo sociale, soprattutto, dal momento che nessuna accusa ad Apple relativa all’inquinamento e allo sfruttamento del lavoro è stata confermata ad oggi.

Resta il fatto che l’India offre un panorama molto competitivo alle grandi aziende che vogliono risparmiare sulla produzione, vantando oggi una manodopera altamente qualificata. La crescente stabilità geopolitica non è altro che l’ennesima conferma di una scelta conveniente per aziende come Apple, meccanismi da cui pochi colossi occidentali sono davvero estranei.

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