Le azioni di public affairs, advocacy e lobbying devono essere misurabili: la comprensione dell’ambiente pubblico istituzionale diventa data driven. Ne parla Claudio Di Mario di Adl Consulting
La tematica della gestione dei public affairs nelle imprese copre uno spetto ampio, che va dagli aspetti etici alla misurazione del ritorno sugli investimenti e passa inevitabilmente per il digitale.
Oggi si deve parlare anche di digital lobbying, ossia della gestione strategica delle relazioni istituzionali attraverso strumenti digitali e smart data.
Il digital lobbying è una metodologia che sfrutta le potenzialità dei dati per riuscire a organizzare al meglio la rappresentanza degli interessi sostenuti.
Si tratta di una gestione strutturata delle informazioni, centrale in tutte le fasi del processo di lobbying: monitoraggio, analisi, valutazioni strategiche, posizionamento, azione e valutazione dei risultati.
Pertanto è fondamentale garantire che le informazioni utilizzate siano accurate e trasparenti, anche alla luce dell’influenza che può avere sulle stesse l’intelligenza artificiale.
Ma al contempo non si deve trascurare che la gestione dei public affairs, il rapporto con i decisori, è una attività eminentemente umana, in cui l’aspetto relazionale rimane sempre centrale.
In occasione di Conn@ctions, evento dedicato alle relazioni di business, ne abbiamo voluto parlare con Claudio Di Mario, founding partner di Adl Consulting.
La consulenza regolatoria e istituzionale richiede la capacità di comprendere rischi e opportunità legati alle decisioni. Quali sono le caratteristiche da avere per entrare in sintonia con i decisori?
Il professionista dei public affairs ha oggi a disposizione strumenti digitali e metodi di rendicontazione che una volta erano appannaggio di settori quali l’investor relations, il marketing, il risk management o la business intelligence.
In Adl Consulting abbiamo investito molte risorse nell’innovazione per i public affairs e, per portarle sul mercato, ci siamo ispirati ad alcune opere di Italo Calvino sui concetti di esattezza, rapidità, leggerezza, molteplicità, visibilità, coerenza.
Abbiamo evidenza che questi valori, applicati anche alla relazione con i decisori pubblici, possano attivare dinamiche virtuose e trasparenti, sfruttando le opportunità offerte dal digitale.
Un esempio è rappresentato dalla pubblicazione volontaria da parte di alcuni rappresentanti delle istituzioni, sui siti web delle relative amministrazioni, delle informazioni minime relative all’incontro con un rappresentante di interessi: data, referente e semplice oggetto.
La gestione dei rapporti in ambienti strutturati e complessi oggi non può esulare dalle piattaforme digitali, per condividere le informazioni nelle organizzazioni e comunicare. Quali sono le competenze chiave?
In un mondo multi-stakeholder sempre più interconnesso si impone l’imperativo, per le aziende, di agire in maniera trasparente nei confronti del policy-maker.
L’applicazione di tali tecnologie digitali e innovative alla nostra attività accresce, di fatto, le capacità delle organizzazioni di prendere decisioni veloci ed efficaci attraverso un approccio scientifico, basato su indicatori misurabili.
Dal 2012, anno di fondazione di Adl Consulting, abbiamo mostrato come, nel settore dei public affairs, la raccolta, la gestione e l’analisi dei dati siano essenziali ai fini della comprensione dell’ambiente politico-istituzionale in cui un’azienda opera, unitamente al monitoraggio delle azioni dei policy maker, all’identificazione di opportunità e minacce e alla valutazione d’impatto delle proprie attività.
Tale approccio, che rientra nel modello del digital lobbying, permette al professionista di promuovere la realizzazione di azioni di public affairs, advocacy e lobbying efficaci, trasparenti e misurabili (ROI), sia da un punto di vista reputazionale che di posizionamento strategico.
Inoltre, la recente introduzione del concetto di Corporate Political Responsibility nell’ambito del Forum Public Affairs 2023, permette alle aziende di seguire uno schema di trasparenza che apre a diverse forme di rendicontazione.
Utilizzando gli assiomi della CPR, si intende diffondere una nuova forma mentis rispetto alla percezione del ruolo socio-politico delle aziende, coerentemente con le sfide della società contemporanea e la complessità dei diversi sistemi economici.
A tale scopo, sarà fondamentale formare professionisti che abbiano competenze e interessi interdisciplinari. Oltre alle imprescindibili basi del diritto e del funzionamento dei meccanismi decisionali istituzionali, occorrono una predisposizione all’analisi dei dati e una spiccata intelligenza emotiva.
Profili non facili da reperire e molto contendibili tanto che abbiamo avviato una partnership con la Graduate School of Management del Politecnico di Milano e la John Cabot University, al fine di realizzare il primo Executive MBA, con possibilità di specializzazione finale in Digital Lobbying e Public Affairs Management.
L’utilizzo massivo dell’intelligenza artificiale per la comunicazione interpersonale porterà a un cambiamento definitivo nei meccanismi relazionali e, quindi, anche su quelli del business networking?
L’intelligenza artificiale, di per sé, non è game changer nelle dinamiche di confronto tra imprese e istituzioni o nel business networking.
La differenza, a mio parere, sarà data dalla capacità dei singoli di alimentare gli algoritmi a favore dell’adozione di metodologie data-driven, a supporto del knowledge management.
Si tratta di un cambiamento di processi e strumenti, ma è prima di tutto una trasformazione che investe il mindset delle persone e delle organizzazioni e le abilita a gestire in maniera più efficace informazioni complesse e frammentate.
Siamo davanti a una sfida epocale: un approccio data-driven sviluppato a tutti i livelli - istituzionale, imprenditoriale ed economico sociale - mostrerebbe tutte le potenzialità del digitale nel lungo termine, funzionali alla sostenibilità di tali tecnologie su larga scala.
© RIPRODUZIONE RISERVATA