Diritto all’aborto: cos’è la Legge 194 e come potrebbe cambiare con Giorgia Meloni

Claudia Cervi

29 Settembre 2022 - 13:23

Il diritto all’aborto è una scelta volontaria: andrebbe garantita ma è spesso ostacolata da medici obiettori. Ecco come potrebbe cambiare con Giorgia Meloni e perché sono scoppiate nuove polemiche.

Diritto all’aborto: cos’è la Legge 194 e come potrebbe cambiare con Giorgia Meloni

Il diritto all’aborto è regolato dalla Legge 194/1978, approvata dopo estenuanti lotte civili 44 anni fa e ancora oggi oggetto di polemiche e spaccature politiche.
La legge ha liberalizzato l’interruzione della gravidanza, prima considerata reato, ma anche che un medico obiettore di coscienza possa rifiutarsi di operare. Tuttavia, se la donna rischiasse la vita, il medico è comunque obbligato a procedere all’aborto.

Giorgia Meloni e la sua coalizione hanno più volte ribadito di non avere alcuna intenzione di toccare né i diritti umani né il diritto all’aborto. Tuttavia dopo le elezioni potrebbe cambiare il modo in cui la Legge 194 viene applicata.

Vediamo nel dettaglio cos’è la Legge 194 e perché è tornata al centro di nuove polemiche dopo l’elezione di Giorgia Meloni.

Diritto all’aborto: cos’è la Legge 194

la Legge 194 del 1978 ha reso legale l’aborto, ma al contempo permette ai medici obiettori di coscienza di scegliere di non operare l’interruzione di gravidanza (art. 9).

Da oltre quarant’anni l’aborto è un diritto riconosciuto alle donne ma può essere praticato legalmente nei casi e con i requisiti previsti dalla Legge 194. Di norma, l’interruzione volontaria di gravidanza è permessa entro i primi 90 giorni dall’inizio della gestazione, ma sono individuati dei casi specifici in cui può essere attuata anche dopo tale termine.

I requisiti per praticare l’aborto cambiano in base al momento in cui la donna ne fa richiesta:

  • Entro 90 giorni dall’inizio della gravidanza, non occorre dimostrare o giustificare che la scelta di interrompere la gestazione sia dovuta a un serio pericolo per la salute fisica e psichica, in relazione a specifiche condizioni personali (stato di salute, condizioni economiche, sociali o familiari, circostanze in cui è avvenuto il concepimento, previsioni di anomalie o malformazioni del feto).
  • Dopo i primi 90 giorni, l’aborto è consentito solo se il grave rischio per la salute, fisica o psichica, è accertato da un medico. In tal caso si parla di aborto terapeutico.

Diritto all’aborto: come funziona oggi la Legge 194

La legge sull’aborto ha chiarito che la decisione sull’interruzione di gravidanza spetta solo alla donna.
Nel momento in cui questa ha deciso di abortire può rivolgersi al

  • consultorio
  • medico di famiglia
  • pronto soccorso

Il medico preposto esamina i motivi ostativi alla prosecuzione della gravidanza e spiega alla donna i diritti di lavoratrice e madre e gli aiuti previsti per la maternità. Dopo aver svolto tutti gli accertamenti clinici, il medico rilascia un certificato attestante la gravidanza attestando o meno l’urgenza.

  • Se si riscontra l’urgenza di intervenire, la donna può praticare immediatamente l’aborto presso una delle sedi autorizzate.
  • Se non si riscontra l’urgenza, la donna dovrà attendere 7 giorni prima di presentarsi presso una sede autorizzata per ottenere l’interruzione di gravidanza.

Diritto all’aborto, obiezione di coscienza e dibattito politico

La legge 194 consente ai medici e al personale sanitario di rifiutarsi di eseguire l’interruzione di gravidanza, dichiarando pubblicamente la propria obiezione di coscienza. L’obiettore di coscienza deve comunicare la propria decisione al medico provinciale e al direttore sanitario della struttura medica dove lavora.
Va però specificato che nei casi in cui la donna sia in pericolo di vita, l’obiezione di coscienza non può essere sollevata né dal medico obiettore e né dal personale sanitario.

Ad alimentare l’interesse pubblico e intensi dibattiti politici è proprio lo statuto giuridico dell’obiezione di coscienza che negli ultimi anni ha raggiunto percentuali molto elevate, vanificando l’applicazione della legge 194. Secondo l’indagine «Mai dati – Dati aperti sulla 194», realizzata nel 2022 da Chiara Lalli e Sonia Montegiove, in collaborazione con l’associazione Luca Coscioni, in Italia sono 31 le strutture sanitarie con il 100% di obiettori di coscienza. Le strutture con una percentuale superiore al 90% sono quasi 50 e quelle con un tasso di obiezione superiore all’80% sono oltre 80. Ciò significa che nella maggior parte delle strutture, pubbliche e private, non è possibile interrompere legalmente una gravidanza.

La realtà dipinta da questa inchiesta mette in evidenza un grave sbilanciamento tra il diritto del personale sanitario di obiettare e quello delle donne di abortire, con la conseguenza che viene sabotato il diritto legittimo di queste ultime.

L’obiezione di coscienza viene dunque utilizzata come strumento politico, generalmente promosso da cattolici ed esponenti del Movimento per la vita, e trae le sue origini dal fallimento del referendum abrogativo del 1981, ma resta un tema caldo a livello internazionale. Basti pensare alle proteste negli Stati Uniti per la revoca della sentenza Roe vs Wade del 1973 che aveva legalizzato l’aborto o alla norma o al disappunto di tutta l’Europa per la legge voluta da Viktor Orbán che obbliga gli operatori sanitari a far ascoltare il battito cardiaco del feto prima di dare il permesso all’interruzione di gravidanza.

Nonostante le rassicurazioni di Giorgia Meloni, la cui appartenenza politica è affine a quella che ha generato le recenti modifiche normative negli States e in Ungheria, il timore è che ancora una volta vengano inseguite le falle della Legge 194 per non riconoscere la centralità decisionale delle donne.

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