Circolare con un documento di identità falso configura un illecito: ecco in quali rischi si può incorrere secondo quanto previsto dalla legge.
Ci si potrebbe chiedere cosa può accadere se, sottoposti a un normale controllo da parte delle forze dell’ordine, venissimo sopresi a circolare in possesso di un documento falso come una carta di identità o un passaporto.
Si tratterebbe di un comportamento illecito e, pertanto, assolutamente vietato o non subiremmo alcuna conseguenza negativa?
In realtà, possedere un falso documento di identità costituisce un illecito penale, in quanto tale, punito dalla legge come reato.
L’art. 497-bis del Codice penale regola proprio questa tipologia di illecito tramite la previsione del reato di “Possesso e fabbricazione di documenti di identificazione falsi”.
Vediamo meglio di cosa si tratta e a quali rischi si può andare incontro se ritenuti penalmente responsabili.
Falso documento: quali rischi
Quando si configura il reato
Il semplice fatto di possedere un documento di identità falso valido per l’espatrio (come la carta di identità o il passaporto) comporta gravi conseguenze legali, soprattutto, da un punto di vista di responsabilità penale.
Quindi, prima di procurarsi e circolare con un documento falso, è bene pensare molto attentamente ai possibili rischi in cui si potrebbe incorrere.
In particolare, secondo l’art. 497-bis del Codice penale:
“Chiunque è trovato in possesso di un documento falso valido per l’espatrio è punito con la reclusione da due a cinque anni.
La pena di cui al primo comma è aumentata da un terzo alla metà per chi fabbrica o comunque forma il documento falso, ovvero lo detiene fuori dei casi di uso personale.”
In buona sostanza, deve trattarsi di un documento falso che sia anche valido per l’espatrio, come lo è, nella maggior parte dei casi, la carta di identità.
In mancanza di espressa dicitura, infatti, la carta di identità si presume titolo valido per l’espatrio negli Stati membri dell’Unione Europea e in quelli in cui vigono particolari accordi internazionali con l’Italia.
La stessa norma non opera, invece, per altri documenti personali non idonei a consentire l’uscita dal territorio dello Stato, come accade nel caso del permesso di soggiorno oppure della carta di identità munita dell’apposita dicitura “non valida per l’espatrio”.
In particolare, con la dicitura “valido per l’espatrio” si intende l’idoneità del documento a consentire al suo possessore di lasciare il territorio dello Stato che lo ha apparentemente emesso (Cass. pen. n. 47563/2015).
Secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione il delitto si configura, ad esempio, in caso di possesso di carte di identità munite di fotografie di persone diverse dai reali intestatari (Cass. pen. 47613/2019).
Quando, invece, il documento contraffatto corrisponde a una carta di identità non valida per l’espatrio o a un altro documento, comunque, non idoneo a consentire di lasciare il territorio dello Stato, si rischia di incorrere nel diverso reato di “falsità materiale commessa dal privato”, previsto e punito dall’art. 482, c.p. (Cass. pen. n. 5061/2011).
Cosa si intende per “possesso”?
Ma cosa si intende esattamente con il termine “possesso”?
È necessario che le forze dell’ordine trovino il documento falso sulla persona dell’interessato o è sufficiente che quest’ultimo lo conservi, ad esempio, nel cassetto di un mobile presso la sua abitazione?
Ebbene, chiamata a pronunciarsi sulla questione, la Cassazione ha specificato che, per l’integrazione del delitto, “,…, non è necessaria una contiguità fisica, attuale e costante, tra il documento falso ed il soggetto agente, essendo sufficiente che questi detenga o abbia detenuto, anche prima dell’accertamento del fatto da parte della polizia giudiziaria, l’atto certificativo in un luogo e con modalità tali da assicurarsene l’immediata disponibilità.” (Cass. pen. n. 14029/2016).
Ciò significa che basta avere la disponibilità del documento, ossia la possibilità di recuperarlo a piacimento e senza difficoltà, affinché la circostanza venga considerata come possesso di un documento falso.
Possesso e contraffazione: differenze
Come visto, l’art. 497-bis, c.p. punisce, inoltre, con una pena più elevata la condotta di chi fabbrica o forma il documento oppure lo detiene per uso diverso da quello personale, realizzando, in tal modo, un autonomo reato (Cass. pen. n. 5355/2015).
Ma quali differenze esistono tra la prima ipotesi (possesso del documento) e la seconda (contraffazione)?
Ancora una volta a chiarirlo è la Corte di Cassazione (Cass. pen. n. 18535/2013), la quale ha stabilito che:
- la prima ipotesi riguarda il caso di chi sia trovato in possesso di un documento identificativo falso valido per l’espatrio, indipendentemente dall’uso che il possessore ne faccia, e sempre che il possessore non abbia partecipato alla contraffazione;
- la seconda, invece, sanziona penalmente il possesso di un documento identificativo (passaporto o carta d’identità) contraffatto con il concorso dello stesso possessore.
In altri termini, qualora il possessore del documento abbia in qualche modo partecipato alla sua falsificazione, egli rischia di essere sottoposto a una pena più significativa.
È il caso, ad esempio, di chi reca con sé una carta di identità con false generalità ma contenente la propria fotografia: in questo caso, è molto probabile che il possessore abbia anche partecipato alla contraffazione o apponendo egli stesso la propria foto sul documento oppure fornendola personalmente al falsario (partecipando attivamente, quindi, all’attività di falsificazione).
Le sanzioni previste
Abbiamo visto quando si rischia di incorrere nei reati in questione e quali differenze esistono tra le due fattispecie.
Ma quali pene sono previste in caso di penale responsabilità?
Ebbene, chiunque venga ritenuto colpevole degli illeciti in questione può rischiare:
- la pena della reclusione da due a cinque anni nel caso di possesso di un documento falso valido per l’espatrio;
- la stessa pena aumentata da un terzo alla metà per l’ipotesi di fabbricazione, formazione o detenzione per uso non personale del documento.
Alcuni casi pratici
Per fare un esempio pratico, la giurisprudenza ha ritenuto configurabile il delitto di fabbricazione o formazione del documento falso nei confronti di un soggetto che esibiva un passaporto contraffatto all’estero raffigurante la propria fotografia, perché considerato responsabile di aver partecipato alla contraffazione (Cass. pen. n. 48241/2019).
Può anche accadere che il responsabile del possesso o della contraffazione del documento di identità lo voglia utilizzare per compiere un altro illecito, come, ad esempio, una truffa.
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Truffa: sanzioni e tutele
In una simile ipotesi, lo stesso soggetto sarà perseguibile per entrambi i delitti.
Il possesso o la fabbricazione del documento falso, infatti, sono puniti indipendentemente dal fatto che il documento venga poi effettivamente utilizzato.
In particolare, secondo la Cassazione:
“Il reato di possesso di documenti di identificazione falsi concorre con quello di truffa ancorché la presentazione del documento falso abbia costituito una delle modalità esecutive della truffa, trattandosi di fattispecie distinte sul piano strutturale, atteso che la presentazione del documento falso costituisce attività ulteriore e non necessaria per il perfezionamento del reato di cui all’art. 497-bis cod. pen., ed essendo diversi i beni giuridici tutelati dalle due norme.” (Cass. pen. n. 2464/2018).
E la ragione sta nel fatto che, per essere sottoposti a procedimento penale, è sufficiente che si venga trovati in possesso del documento, anche se l’interessato non abbia intenzione di utilizzarlo (Cass. pen. n. 40272/2016).
A mente della Corte, infine, è configurabile il reato in questione anche nel caso di possesso di un documento valido per l’espatrio che sia stato falsificato solo in parte, sempre che la falsità riguardi una sua parte significativa: in quest’ottica, è stato ritenuto colpevole dell’illecito il possessore di un documento che, pur consentendo l’identificazione del titolare, presentava timbri falsi (Cass. pen. n. 13383/2008).
Il falso grossolano
Esistono inoltre alcune ipotesi in cui, pure in presenza della falsificazione di un documento valido per l’espatrio o del suo semplice possesso, l’autore della condotta è considerato non punibile.
In particolare, si tratta del caso del falso grossolano, ossia di quella contraffazione talmente evidente da non costituire un reale pericolo.
In altri termini, l’ipotesi riguarda tutti quei documenti di identità che appaiono visibilmente falsi, perché, ad esempio, privi di elementi indispensabili o con evidenti segni di alterazione.
Ebbene, la giurisprudenza ha precisato che, in situazioni simili, “Non integra il reato di possesso e fabbricazione di documenti d’identificazione falsi [...] ma l’ipotesi del falso grossolano, non punibile, ex art. 49 cod. pen., per inidoneità dell’azione a conseguire lo scopo antigiuridico - il possesso di un documento d’identità privo di qualsiasi validità, non risultando l’ente emittente né il timbro ufficiale, né simboli di riconoscimento e non essendo, pertanto, riferibile all’autorità.” (Cass. pen. n. 41155/2008).
Secondo l’art. 49, comma 2 del Codice penale, infatti, “La punibilità è altresì esclusa quando, per la inidoneità dell’azione o per la inesistenza dell’oggetto di essa, è impossibile l’evento dannoso o pericoloso.”
Ed è proprio quest’ultima la norma applicata dalla Cassazione in caso di falso grossolano.
Attenzione però: deve trattarsi di un falso percepibile agli occhi di chiunque. In altre parole, la falsità del documento deve essere immediatamente percepibile anche per un occhio non esperto.
In applicazione di questo principio, la Corte ha escluso che potesse parlarsi di falso grossolano con riguardo a una patente e a una carta di residenza straniere, la cui contraffazione emergeva da indizi percepibili soltanto da personale specializzato.
In questo caso, infatti, la sentenza ha ribadito che, in tema di falso documentale, la punibilità è esclusa per inidoneità dell’azione solo quando la falsificazione dell’atto appaia in maniera talmente evidente da essere riconoscibile da chiunque (Cass. pen. n. 27310/2019).
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