Donazione dell’incapace: come contestarla e quando

Marco Montanari

8 Novembre 2021 - 07:00

Come comportarsi in caso di donazione effettuata da una persona incapace? Ecco cosa prevede la legge e come contestarla.

Donazione dell’incapace: come contestarla e quando

La donazione è il tipico negozio giuridico a titolo gratuito, effettuato, cioè, senza che sia richiesto un corrispettivo in cambio della cessione di un bene o di un diritto.

Attraverso la donazione un soggetto, per spirito di liberalità, può spogliarsi dei propri averi a vantaggio esclusivo di un’altra persona.

Essa è definita dal Codice civile come “il contratto col quale, per spirito di liberalità, una parte arricchisce l’altra, disponendo a favore di questa di un suo diritto o assumendo verso la stessa un’obbligazione(art. 769, c.c.).

In altre parole, con la donazione si effettua un vero e proprio «regalo», alcune volte, anche di rilevante valore (come, ad esempio, nella donazione dei beni immobili).

Ma cosa succede se la donazione è effettuata da persona incapace, perché interdetta o perché affetta da una patologia che la renda incapace di intendere o di volere?

È possibile contestarla impugnando il relativo contratto? E se sì, quando ed entro quali termini?

Ecco cosa prevede la legge in materia di donazione dell’incapace.

La capacità di agire del donante

La donazione è un cosiddetto “atto personalissimo”; essa può essere infatti compiuta unicamente dal donante (art. 777, c.c.), senza la possibilità che intervenga, in sua sostituzione, un rappresentante legale (come il genitore per il figlio).

Altro elemento essenziale della donazione è la presenza di una determinata volontà del donante (elemento psicologico), la volontà, cioè, di arricchire un’altra persona senza nulla ricevere in cambio; di arricchirla, dunque, per spirito di mera liberalità. Si parla, infatti, del cosiddetto “animus donandi”.

Proprio per tali ragioni, primo presupposto di ogni donazione è l’esistenza della piena capacità di disporre dei propri beni in capo al donante.

Al riguardo, l’art. 774 del Codice civile prevede che: «non possono fare donazione coloro che non hanno la piena capacità di disporre dei propri beni».

Tra queste persone vanno inclusi i minori non emancipati, gli interdetti e gli inabilitati, coloro cioè che, per legge, sono privi della capacità di agire o hanno una capacità di agire ridotta.

Tuttavia, esistono casi in cui, un soggetto, pur non essendo stato dichiarato legalmente incapace, lo sia, comunque, da un punto di vista materiale o fisico: si parla, al riguardo, di “incapacità naturale”.

L’incapacità naturale, meglio nota come “incapacità di intendere o di volere”, può essere determinata, anche soltanto transitoriamente, da diverse cause: una patologia mentale, lo stato di ubriachezza, una lesione fisica, ecc.

Ciò non toglie che un soggetto incapace di intendere o di volere esegua comunque una donazione. Cosa succede, allora, all’atto di donazione compiuto da tale soggetto in stato di incapacità naturale?

La donazione dell’incapace

La «donazione fatta da persona incapace d’intendere o di volere» è disciplinata dall’articolo 775 del Codice civile, secondo cui:

La donazione fatta da persona che, sebbene non interdetta, si provi essere stata per qualsiasi causa, anche transitoria, incapace di intendere o di volere al momento in cui la donazione è stata fatta, può essere annullata su istanza del donante, dei suoi eredi o aventi causa.
L’azione si prescrive in cinque anni dal giorno in cui la donazione è stata fatta
”.

La legge, quindi, consente l’annullamento della donazione quando ricorrono i seguenti presupposti:

  • essa deve essere stata fatta da persona interdetta o comunque affetta da incapacità naturale;
  • l’incapacità doveva sussistere al momento del compimento dell’atto;
  • non devono essere trascorsi più di 5 anni dalla donazione stessa.

Quanto ai soggetti legittimati (coloro, cioè, che hanno diritto di contestare la donazione richiedendone l’annullamento) essi sono:

  • il donante stesso;
  • i suoi eredi;
  • gli aventi causa.

Pensate al caso in cui una persona anziana sia deceduta senza lasciare testamento. Pur non essendo mai stato dichiarata interdetta o inabilitata, qualche tempo prima di morire, ha iniziato a manifestare chiari sintomi di infermità mentale, tanto da essere costretta al ricovero presso una casa di cura.

Poco dopo la morte, il figlio e unico erede legittimo viene a conoscenza del fatto che, durante il periodo del suo ricovero presso la casa di cura, il genitore ha donato una proprietà immobiliare a un vecchio amico d’infanzia.

Ebbene, in questo caso, il figlio ed erede del donante potrà contestare la donazione effettuata in vita dal de cuius in stato di infermità mentale, facendone disporre l’annullamento da parte del giudice.

L’azione di annullamento della donazione

Chi ha interesse (e legittimazione) a contestare una donazione fatta dall’incapace deve, in primo luogo, rivolgersi a un legale che possa assisterlo e difenderlo nel relativo procedimento.

Sarà infatti necessario adire il giudice competente attraverso un atto di citazione redatto dall’avvocato e preventivamente notificato alla controparte, che, in questo caso, corrisponde al donatario (colui che ha beneficiato della donazione).

Il tutto, si ricorda, entro il termine di prescrizione di 5 anni dall’avvenuta donazione.

In questo modo, prenderà avvio un procedimento giudiziario all’interno del quale l’attore (colui che ha agito in giudizio) dovrà dimostrare l’esistenza dei requisti previsti dall’art. 775, c.c.

In particolare, egli dovrà fornire la prova dell’esistenza dello stato di incapacità naturale del donante al momento della stipula del contratto di donazione.

Per far ciò, potrebbe essere utile fornire la documentazione comprovante l’esistenza di una patologia psichica o di altra infermità (ad esempio, prescrizioni e certificati medici, cartelle cliniche, esami effettuati da personale specialistico, ecc.) tale da incidere in modo decisivo sulla capacità di intendere o di volere del donante al momento della donazione.

Secondo la Corte di Cassazione, ad esempio, l’incapacità naturale, quale causa d’annullamento del contratto di donazione, può desumersi anche dalla certificazione rilasciata Commissione medica chiamata a valutare la domanda di invalidità pensionistica proposta dal medesimo soggetto poi divenuto donante (Cass. ord. n. 21148/2013).

È poi possibile ricorrere alla prova testimoniale, fornendo al giudice testimoni che siano in grado di confermare lo stato di incapacità del donante.

In caso di buon esito del giudizio, il giudice pronuncerà una sentenza di annullamento del contratto di donazione, condannando, quindi, il donatario alla restituzione del bene ricevuto dal donante incapace.

Ma cosa succede quando il donante, incapace di intendere o di volere, è stato anche, per così dire, «raggirato» dal donatario al fine di ottenere il bene in donazione? La fattispecie può avere risvolti penali: vediamo quali.

La donazione in caso di circonvenzione di incapace

L’art. 643 del Codice penale punisce con la reclusione da 2 a 6 anni e con la multa da euro 206 a euro 2.065, “chiunque, per procurare a sé o ad altri un profitto, abusando dei bisogni, delle passioni o della inesperienza di una persona minore, ovvero abusando dello stato d’infermità o deficienza psichica di una persona, anche se non interdetta o inabilitata, la induce a compiere un atto che importi qualsiasi effetto giuridico per lei o per altri dannoso

È il caso, appunto, della persona incapace (ad esempio, per infermità o deficienza psichica) che venga appositamente indotta a sottoscrivere un contratto di donazione da parte del donatario o di altro soggetto.

Ebbene, secondo la giurisprudenza, essendo il reato in esame un caso di grave violazione di norme imperative, il contratto di donazione così stipulato non si limiterà a essere annullabile (come stabilito dall’art. 775, c.c., sopra esaminato), essendo, addirittura, nullo (Cass. n. 7081/2017).

Ciò significa che la relativa azione, volta a far accertare la nullità del contratto, non sarà soggetta a prescrizione (può essere, dunque, esercitata ben oltre i 5 anni previsti dall’art. 775, c.c.) e potrà essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse (non soltanto, quindi, dal donante, eredi ed aventi causa).

Il contratto di donazione dichiarato nullo, inoltre, si intenderà privo di effetti fin dalla sua sottoscrizione e non potrà essere convalidato.

In questo caso, infine, il giudice chiamato a pronunciarsi sul contratto di donazione stipulato dall’incapace vittima di reato di circonvenzione, può accertare la nullità del contratto anche d’ufficio, senza, cioè, che occorra un’espressa domanda da parte di colui che agisce.

Argomenti

# Legge

Iscriviti a Money.it