La narrazione mainstream sostiene che le sanzioni sono una conseguenza dell’aggressione russa all’Ucraina: in realtà, si tratta di misure adottate da tempo.
La guerra in Ucraina ha dato inizio a una fase di “frammentazione geoeconomica” a livello mondiale? Questa è l’opinione mainstream, avanzata dalla direttrice del FMI Kristalina Georgieva e da vari altri commentatori. Le cose, tuttavia, stanno un po’ diversamente. Consideriamo quei tipici meccanismi protezionistici, utilizzati dagli Stati Uniti e da numerosi alleati occidentali, che oggi vanno sotto il nome di “friend-shoring” o di “sanzioni”. Si tratta di strumenti molto simili, sia dal punto di vista degli intenti che delle modalità di applicazione. Entrambi, infatti, servono in sostanza a consolidare le relazioni economiche con i paesi “amici” e a elevare barriere di separazione, commerciali e finanziarie, nei confronti di paesi considerati “avversari esteri”.
Ebbene, i dati indicano che questi strumenti protezionistici erano già all’opera ben prima dell’invasione russa dell’Ucraina. La guerra iniziata il 24 febbraio 2022 ha certamente accentuato l’utilizzo di queste misure, ma non le ha affatto inaugurate. Persino gli strumenti giuridici e amministrativi denominati “sanzioni” erano in realtà attivi da anni. Si tratta di una miscela di misure diretta contro un ampio spettro di “avversari esteri”: non solo Russia, ma anche e soprattutto Cina, e vari altri.
Si potrebbe supporre che questo revival protezionista sia solo un episodio, una sorta di strascico ideologico degli anni bizzarri di Donald Trump alla Casa Bianca. In effetti, l’uso giuridico dell’espressione “avversari esteri” nasce proprio con la sua Amministrazione, sotto la quale le tariffe, le restrizioni e le sanzioni verso i paesi non alleati hanno fatto registrare indubbie accelerazioni. Ma sarebbe un errore considerare il protezionismo sanzionatorio come una mera deviazione trumpiana dall’ordine liberista costituito.
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