Chi ha assistito il defunto quando era malato o in stato di bisogno ha diritto a una maggiorazione al momento dell’eredità? Ecco cosa prevede la legge a riguardo.
Le questioni familiari sono spesso delicate, in particolar modo quando si tirano in ballo i soldi e la salute. C’è una casistica, soprattutto, che accomuna entrambi questi temi caldi: l’assistenza dei genitori malati e l’eredità. Stando alle cronache dei tribunali, la casistica più nota alle famiglie italiane è la seguente. I genitori si ammalano, uno dei figli li assiste quotidianamente mentre l’altro è del tutto assente. Poi, al momento dell’eredità l’amara sorpresa: entrambi ricevono la medesima quota, senza tener conto di quanto fatto in vita. Allora ecco, il figlio che si è preso cura dei genitori, magari sacrificando la propria vita privata e il lavoro, non ricevere niente di più rispetto agli altri. Ma non sono previste maggiorazioni dell’eredità per chi ha assistito i defunti?
La questione, poi, è rilevante per tutte le persone che si sono trovate ad assistere il defunto, soprattutto se la loro presenza è stata fondamentale nei momenti più delicati e sofferenti. Si pensi ai badanti, ad esempio, spesso vittime di un forte pregiudizio anche nel caso in cui sia presente un testamento in loro favore. Vediamo cosa afferma la legge.
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Maggiorazioni dell’eredità per chi ha assistito il defunto?
Alla questione richiamata c’è una risposta generale e inderogabile, valida per tutti i soggetti interessati: la legge non prevede maggiorazioni dell’eredità in nessun caso, per nessuno degli eredi. Soltanto il defunto può, con il testamento, aumentare la quota ereditaria di un erede piuttosto che quella di un altro (nei limiti delle varie legittime).
Riguardo ai figli del defunto, poi, c’è da richiamare un’importante specificazione. La cura dei genitori malati e/o in stato di bisogno è un vero e proprio dovere che grava sui figli, perciò non comporta alcun premio o maggiorazione dell’eredità, ma è semplicemente l’adempimento di un obbligo. Non è nemmeno possibile citare in giudizio gli altri figli, qualora non curanti, per ricevere il rimborso del loro inadempimento. Soltanto i genitori stessi, in questo caso titolari del diritto, possono eventualmente citare i soggetti obbligati per ottenere l’adempimento.
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Riguardo all’eredità, l’unica possibilità sarebbe la rinuncia spontanea e incondizionata in favore del fratello considerato più meritevole, o anche la donazione di una parte della quota. In ogni caso, si tratta di azioni che non si basano su alcuna premessa giuridica e che non possono essere pretese in alcun modo. Di pari passo, i figli che adempiono a un’obbligazione naturale non hanno diritto a un pagamento o a dei rimborsi. Resta solo la possibilità, chiaramente finché i genitori sono in vita, di richiedere le agevolazioni previste dallo Stato, come i permessi e il congedo previsti dalla Legge 104, quando ne sussistono le condizioni.
Di conseguenza, nemmeno un eventuale badante o qualsiasi altra persona che è stata vicina al defunto può pretendere maggiorazioni dell’eredità. L’unica differenza è che in questi casi, quando si instaura un rapporto di lavoro, c’è il diritto a ricevere la retribuzione pattuita in conformità alla legge. Un badante o un collaboratore domestico, per esempio, può citare in giudizio gli eredi se non ha ricevuto dei pagamenti e così ricevere – indirettamente – parte dell’eredità.
In ogni caso, gli eredi e le loro quote sono determinati dal Codice civile e possono essere derogati (seppur con alcuni limiti) soltanto dal testamento. Il genitore ancora in vita può quindi far testamento in favore del figlio che l’ha assistito e aumentare la sua quota ereditaria (senza ridurre la legittima del coniuge o degli altri figli), ma potrebbe fare esattamente la stessa cosa anche senza fornire alcun tipo di motivazione. Oltretutto, c’è la possibilità di aumentare la propria quota ottenendo la riduzione di quella dell’erede che ha ricevuto in vita del defunto delle donazioni.
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