Gli eredi hanno diritto alle password e agli account dei defunti?

Antonella Ciaccia

07/07/2022

Eredità digitale, agli eredi si tramandano anche le password degli account del defunto. Una sentenza del Tribunale di Milano autorizza l’accesso agli spazi web di chi è passato a miglior vita.

Gli eredi hanno diritto alle password e agli account dei defunti?

Un tempo i segreti si portavano nella tomba, oggi invece l’eredità digitale rischia di annullare ogni diritto alla privacy.

Come ricostruito dal Messaggero, un provvedimento emesso pochi giorni fa dal tribunale di Milano ha autorizzato una donna a entrare in possesso dei beni digitali del defunto marito, ossia account, I-Cloud e contenuti dei suoi profili social.

Per i giudici meneghini anche gli «averi digitali» fanno parte dell’eredità. Password e account agli eredi dunque, che conquistano il diritto di possedere tutte le chiavi di accesso agli spazi web del defunto.

In assenza di una normativa univoca sulla tutela post-mortem dei dati sensibili, il provvedimento del tribunale di Milano è destinato a fare giurisprudenza: si tratta di una decisione che coinvolge numerosi interessi e soprattutto rischia di minare le esigenze di tutela della privacy.

Il caso portato al Tribunale di Milano

Il caso è stato portato all’attenzione dei giudici da una donna dopo che Apple, Microsoft e Meta Platform, le avevano chiesto un’autorizzazione del tribunale per poterle consegnare le chiavi di accesso dei vari account del marito deceduto.

La vedova aveva motivato la scelta di portare la questione in tribunale affermando che all’interno di tali account potessero essere presenti video e foto del marito con i figli, ma anche lettere d’addio e dichiarazioni contenenti le ultime volontà riguardanti i figli minori.

La morte dell’uomo era difatti sopraggiunta all’improvviso, a causa di una malattia degenerata in poco tempo.

Il tribunale ha accolto la richiesta e consegnato alla moglie tutte le chiavi d’accesso alla vita virtuale del marito che, non si può escludere, proprio lì avrebbe potuto gelosamente custodire i suoi segreti.

Eredità digitale, cosa dice la legge

Il rifiuto iniziale delle compagnie ad autorizzare la vedova e la decisione del tribunale impone una serie di considerazioni su quanto l’eredità digitale vada discussa ed elaborata a livello normativo.

Nel nostro ordinamento non c’è un impianto normativo che disciplini le circostanze e, al momento, si lascia tutto all’iniziativa privata.

Se il defunto non ha espresso nelle sue volontà, la non autorizzazione all’accesso ed utilizzo dei suoi dispositivi, il ricorso alla giustizia ordinaria diventa una prassi ed il richiedente ha buone possibilità di entrare in possesso dei suoi dati.

Certamente, in un quadro giuridico così incerto, il caos virtuale rischia di travolgere anche i diritti fondamentali. In un tempo così informatizzato e digitale, servirebbero regole molto più chiare e non così esposte a interpretazione, che chiariscano se l’identità digitale passi a miglior vita con il defunto o sia invece ereditabile.

Solo la chiarezza normativa potrebbe consentire di ricostruire la memoria del caro estinto con quello che lui, in vita, aveva deciso di lasciare in eredità e permetterebbe al de cuius di portare con sé tutto il resto.

Peraltro, in merito a questo, occorre sottolineare che sulla questione si sono già mossi da anni i social. Facebook, ad esempio, consente di indicare un erede che prenderà il controllo dei profili dopo la morte.

Gli account sono come «cassetti» delle nostre scrivanie

D’ora in avanti, se la sentenza sull’eredità digitale dovesse tracciare un solco per nuove interpretazioni legislative, non ci sarebbe da star tranquilli neanche da morti.

Il difensore della donna, il matrimonialista Marco Meliti spiega in un’intervista al Messaggero le due facce della sentenza: «la decisione del Tribunale di Milano risponde certamente a un interesse meritorio di tutela dei figli minori ma, allo stesso tempo, evidenzia una falla normativa nel sistema di protezione post mortem dei dati contenuti nei nostri account».

Sul caso in esame al tribunale di Milano, il legale ha inoltre dichiarato che: «il provvedimento ci ricorda come i dati contenuti nei nostri account possano entrare a far parte dell’eredità, al pari delle lettere o delle fotografie custodite gelosamente nei cassetti delle nostre scrivanie».

In generale però, la sopravvivenza dei diritti dell’interessato in seguito alla morte resta materia suscettibile a più interpretazioni; così come la possibilità del loro esercizio, post mortem, da parte di determinati soggetti legittimati.

Pertanto, afferma Meliti: «non è sufficiente sottoscrivere al momento dell’apertura di un account le clausole generali di contratto per precludere agli eredi la possibilità di accedere all’archivio digitale del defunto in quanto occorre che, tale volontà, risulti in maniera inequivoca magari attraverso l’approvazione espressa di un’apposita clausola».

D’altra parte, una volta ottenute le chiavi di accesso di un account, è inevitabile che si entri a contatto in maniera indiscriminata con tutto quanto custodito dal de cuius, ivi inclusa la corrispondenza o le immagini scambiate tra il defunto e terze persone, magari estranee ai rapporti affettivi e familiari.

Ci vuole pertanto una clausola specifica, in cui la volontà del soggetto deve essere inequivocabile: con essa si potrà vietare di entrare in possesso dell’archivio digitale e si potrà stabilire che esso muoia con il soggetto stesso.

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