Ecco cosa prevede la legge sui favori tra familiari, in quali casi vanno retribuiti e che cos’è la presunzione di gratuità.
Le incombenze da svolgere in una famiglia sono tante e spesso ci si organizza proprio tra parenti per riuscire a occuparsi di tutto combinando le forze. Tra faccende domestiche e lavori in casa, cura degli anziani e dei bambini piccoli, di sovente i familiari si scambiano favori per ottimizzare i tempi di ognuno. Principalmente, in questo modo si può contare su una persona di fiducia, ma l’altro motivo che spinge a organizzarsi in questo modo è il risparmio.
Di solito, infatti, i favori resi da un familiare sono effettuati gratuitamente o semplicemente compensati dal sostegno reciproco nel momento del bisogno. Certo è che se questi scambi cominciano a richiedere troppo tempo oppure diventano sbilanciati si inizierà a pensare anche a un compenso economico. È del tutto naturale, specie riguardo le attività frequenti o che impiegano gran parte della giornata, oppure da parte dei figli minori che vorrebbero guadagnare qualcosa. Ecco che ci si chiede se i favori tra familiari vanno retribuiti ed eventualmente in che modo.
Vediamo cosa stabilisce la legge in proposito, per evitare liti o errori e seguire la procedura corretta.
La presunzione di gratuità
Nel pensiero comune lo scambio di favori tra familiari non presuppone alcun pagamento, perché eseguito in virtù della solidarietà e della collaborazione. Accompagnare un genitore a una visita medica o badare per qualche ora ai nipotini non sono di solito azioni eseguite come prestazioni lavorative, quanto più atti necessari per sopperire alle esigenze interne alla famiglia.
Ebbene, questa convinzione è supportata anche dalla legge, con una precisione che raramente accade. Difatti, vige la cosiddetta presunzione di gratuità per le prestazioni eseguite dai familiari, perché si parte dal presupposto che siano eseguite in virtù del legame familiare e del naturale spirito di solidarietà.
Ciò significa che i favori tra familiari non vanno retribuiti (non obbligatoriamente almeno) e che, oltretutto, non è necessario ricambiarli, se non per dovere morale. Non è comunque vietato ricompensare un parente per l’aiuto ricevuto, sia con una somma di denaro – come un semplice rimborso spese – che con uno scambio di favori. Semplicemente, non esiste un obbligo legale che imponga a chi riceve il favore di elargire un compenso.
Favori tra familiari, quali non vanno pagati
Il principio di presunzione di gratuità si applica a tutte le prestazioni effettuate tra familiari che però eludono le esigenze condivise anche da chi le svolge. In entrambi i casi non c’è alcun obbligo di pagamento, ma le ragioni sono differenti. Vediamo qualche esempio per chiarire questa distinzione.
Il figlio convivente aiuta i genitori nella gestione familiare occupandosi di qualche faccenda domestica, di semplici lavoretti o commissioni quotidiane come fare la spesa o preparare il pranzo. In questo caso non si può affermare che il figlio abbia eseguito una prestazione per i genitori, poiché le esigenze a cui ha provveduto incombono anche su di lui.
Diversa è l’ipotesi in cui il figlio, ormai autonomo e non convivente, si reca periodicamente dai genitori per aiutarli e occuparsi delle stesse faccende già citate. In questo caso non si tratta di esigenze che gravano direttamente sull’interessato, che tuttavia vi provvede per affezione familiare.
Ecco scattare la presunzione di gratuità della prestazione, ossia il presupposto che il figlio si occupi delle prestazioni semplicemente per dare una mano ai genitori e non prevedendo una retribuzione. La distinzione è fondamentale, perché la presunzione di gratuità - essendo tale - può essere superata; dunque, i “favori” non sono più tali e vanno pagati.
Quando bisogna pagare i familiari
Le prestazioni eseguite all’interno dell’ambito familiare sono considerate come gratuite, a meno che si possa superare la presunzione di legge provando che hanno altra natura. Questo è possibile quando si presentano alcuni elementi tipici del lavoro, in primis la costanza della prestazione (non una tantum) e la previsione di retribuzione, anche se solo promessa.
La differenza tra lavoro e favore dipende quindi da elementi specifici e non riguarda prettamente l’attività svolta. Per esempio, accompagnare i genitori o i nonni alle visite mediche o aiutarli nell’attività lavorativa in proprio non ha alcuna differenza da questo punto di vista. Ciò che conta è il rapporto familiare che intercorre tra le parti e la conseguente presunzione di gratuità, che può essere superata quando si presentano gli elementi tipici del lavoro, non necessariamente domestico.
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