La Fed ha terminato il suo ciclo rialzista. Ora serve il casus belli per la luce verde

Mauro Bottarelli

27/07/2022

La Banca centrale Usa alza i tassi di altri 75 punti base e le prezzature di mercato ora segnalano solo il 50% di possibilità per un quarto di punto a dicembre. Adesso però serve l’alibi per tagliare

La Fed ha terminato il suo ciclo rialzista. Ora serve il casus belli per la luce verde

Come da attese. Per la seconda volta di fila, la Fed ha alzato i tassi di 75 punti base nel tentativo di fermare la corsa dell’inflazione. Così, almeno, la narrativa ufficiale. In realtà il ciclo rialzista della Banca centrale Usa si chiude questa sera. A confermarlo, al netto della retorica di Jerome Powell, la reazione eccitata di Wall Street e questi due grafici

Andamento correlato di Economic Surprise Index, inflazione globale (G4) e tassi Fed a 1 anno Andamento correlato di Economic Surprise Index, inflazione globale (G4) e tassi Fed a 1 anno Fonte: Bloomberg
Prezzature dei futures rispetto all'entità degli aumenti dei tassi Fed fino al febbraio 2023 Prezzature dei futures rispetto all’entità degli aumenti dei tassi Fed fino al febbraio 2023 Fonte: Bloomberg

dai quali si evince come il mercato avesse inviato un chiaro segnale alla Fed: ora basta, prima di creare danni reali. Se infatti le aspettative inflazionistiche stanno rallentando rispetto al repentino cammino di rialzo innescato da Jerome Powell, tale da imporre un pausa di riflessione che vada oltre lo stop vacanziero di agosto, ecco che le prezzature dei futures mostrano altro. Se infatti l’ipotesi di 100 punti base pieni di rialzo nella giornata odierna era di fatto già evaporata due settimane fa, ecco che anche quella di altri 75 punti base nella riunione di settembre è letteralmente crollata. Di più, ad oggi le possibilità di un aumenti di soli 25 punti al board di dicembre sono solo al 50%.

Calma e gesso. Ma il compito del governatore è tutt’altro che semplice. nonostante il turbo innescato dalla decisione all’andamento di Wall Street sembri appunto confermare ulteriormente la trama sottostante. In primo luogo, Powell deve preservare per altri tempi la parola recessione, di fatto l’unico alibi attualmente a disposizione della Banca centrale per fermare il suo ciclo di normalizzazione. Ma anche uno spauracchio da dosare, alla luce di elezioni di mid-term ormai alle porte. Ed ecco che in secondo luogo emerge la necessità di mantenere coperta - quantomeno all’opinione pubblica - la volontà scientifica di generare recessione a tavolino attraverso un rialzo dei tassi sprint, dopo mesi di negazione del problema e narrativa sulla transitorietà dell’inflazione, proprio al fine di sostituire fra loro le emergenza con quella maggiormente gradita al mercato. Tradotto, l’inflazione blocca il Qe, la recessione lo reclama. E Wall Street non può vivere solo di aspettative e buybacks per molto ancora.

Insomma, ora tutto sembra in rampa di lancio per un reset. Occorre però un casus belli, un alibi che telegrafi al mercato in maniera incontrovertibile la fine del quantitative tightnening e l’inizio di una politica di contrasto alla recessione. La quale, chiaramente, verrà sdoganata come realtà soltanto all’ultimo momento utile. Dopo Jackson Hole e con Joe Biden in grado di sopportarne il peso politico, magari utilizzando in parte proprio la Fed come colpevole da additare al pubblico ludibrio e, soprattutto, potendo contare su una nuova offensiva giudiziaria nei confronti di Donald Trump che intorbidisca le acque della politica. Di fatto, il comunicato del board lascia intendere che l’economia Usa può sopportare ancora dei rialzi dei tassi, poiché al rallentamento dell’economia fa da contraltare un mercato del lavoro robusto. Paradossalmente, quindi, occorrerebbe un po’ di disoccupazione in più, qualche numero allarmante sulle richieste di sussidio per creare la cornice in cui intervenire. Senza dare nell’occhio.

Oppure, uno shock esogeno. Forse il fatto che la USS Ronald Reagan e la sua scorta di strike group lunedì abbiano lasciato Singapore alla volta del Mare Cinese del Sud, al fine di inviare alla Cina un segnale chiaro in caso di visita di Nancy Pelosi a Taiwan, potrebbe genere un sufficiente clima di tensione nelle relazioni internazionali (e commerciali) da garantire un primo stop precauzionale. Oppure la crisi europea del gas, stranamente in abbinata di tandem con l’escalation militare delle forze armate ucraine grazie ai sistemi missilistici appena giunti dagli Usa. Un’escalation che spinga Gazprom a chiudere del tutto il gas all’Europa garantirebbe infatti uno shock recessivo immediato. Da cui gli Usa, paradossalmente, avrebbero tutto da guadagnare e molto poco da perdere. E i futures paiono confermarlo.

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