La finanza comportamentale spiegata, la guida completa

Davide Galasso

11 Marzo 2025 - 15:35

Ecco la guida completa alla finanza comportamentale: scopriamo come comprendere la mente dell’investitore.

La finanza comportamentale spiegata, la guida completa

Il mondo finanziario non è fatto solo di scelte razionali. Anzi, la componente inconsapevole e psicologica gioca un ruolo fondamentale nel guidare le decisioni degli investitori.

La mente umana è complessa, ma la comprensione del suo funzionamento può aiutare senza dubbio a capire le dinamiche del comportamento economico, strettamente legato all’andamento dei mercati. Meccanismi cerebrali e investimenti sono un binomio affascinante da cui è nata una disciplina sempre più importante nell’attuale contesto finanziario: la finanza comportamentale.

Ecco la guida completa che mira a descrivere e a spiegare semplicemente i principi di questo nuovo e interessante approccio.

Cos’è e a cosa serve la finanza comportamentale?

La finanza comportamentale (behavioral finance) è una branca di studi che mira alla comprensione di come la mente umana e i processi decisionali abbiano un effetto importante sulle dinamiche finanziarie.

È un sottocampo della finanza e applica i principi dell’economia comportamentale a tutti gli aspetti di questo mondo, con particolare riferimento agli investimenti.

Questa disciplina aiuta a comprendere in maniera più completa e approfondita l’andamento dei mercati, a progettare strategie efficaci per evitare gli errori e a ottimizzare gli investimenti, alla luce dell’impatto di tutti i fattori irrazionali e inconsapevoli sulle scelte economiche.

Finanza comportamentale ed economia comportamentale sono la stessa cosa?

La disciplina ha una storia piuttosto recente; nasce, infatti, nella seconda metà del ’900 periodo in cui, grazie a una serie di ricerche e intuizioni, si arrivò alla comprensione di come gli individui (e di conseguenza tutte le loro scelte economiche) non fossero completamente razionali.

A partire da queste assunzioni, si è quindi sviluppata l’economia comportamentale (behavioral economics), settore che studia il modo in cui i fattori psicologici, emotivi, cognitivi e sociali influenzano tutte le decisioni economiche tra cui acquisti e scelte salariali.

La finanza comportale, quindi, non è altro che l’applicazione dei principi di questa materia al mondo finanziario poiché, come sappiamo, investimenti e dinamiche simili rientrano a tutti gli effetti nelle scelte economiche.

Economia classica contro behavioral economics

Come appena accennato, il campo dell’economia e della finanza comportamentale nasce a partire da un cambiamento del pensiero precedente che, possiamo dire, è stato completamente rivoluzionato.

Secondo il paradigma passato, infatti, le scelte economiche di una persona erano sempre perfette nelle loro logiche e nei ragionamenti e, proprio per questo, si parlava di razionalità assoluta. Quest’ultima era tipica dell’homo economicus, sempre in grado di massimizzare l’utilità delle proprie decisioni.

Tale modello sosteneva che gli individui avevano accesso completo a tutte le informazioni e a tutte le risorse cognitive prima di prendere una decisione. Tale capacità consentiva loro di valutare efficacemente tutte le alternative disponibili, portandole a sviluppare preferenze definite e stabili nel tempo.

Inoltre, le scelte erano effettuate con il solo obiettivo di massimizzare il profitto e ottenere la massima soddisfazione; l’aspetto psicologico e l’influenza di bias cognitivi erano completamente irrilevanti.

A partire dagli anni ’50, tuttavia, i limiti di queste concezioni erano divenuti troppo evidenti e, complice il progresso della psicologia, venne posta in evidenza l’influenza della mente sui processi di ragionamento e sulle scelte che ne conseguono.

Nel 1955, infatti, Herbert Simon propose la Teoria della Razionalità Limitata divenuta il punto di partenza per lo sviluppo dell’economia e, poco dopo, della finanza comportamentale.

Questa teoria sostiene che le scelte economiche e finanziarie dell’individuo non seguono quasi mai dei ragionamenti perfetti mirati alla massimizzazione dell’utilità ma, al contrario, sono fortemente influenzate da fattori inconsci, sociali e limiti cognitivi.

Una delle conferme principali dell’importanza della disciplina psicologica in ambito economico-finanziario è arrivata poi nel 1979. In questo anno, infatti, gli psicologi Daniel Kahneman e Amos Tversky proposero la nota Teoria del Prospetto (Prospect Theory), divenuta poi uno dei dogmi fondamentali della finanza comportamentale.

In particolare, il testo Prospect Theory: An Analysis of Decision Under Risk realizzato dai due studiosi portò Kahneman, nel 2002, a vincere il premio Nobel per l’economia, a dimostrazione di come l’impatto delle scienze cognitive sui meccanismi economici fosse stato ampiamente riconosciuto.

Le metodologie di ricerca

In un primo momento, l’analisi dei comportamenti psicologici degli investitori si basava su test e sondaggi volti a comprendere il loro pensiero.

Più recentemente, invece, ci si è evoluti verso approcci scientifici più avanzati, come l’utilizzo di alcune tecniche di neuroimaging.

Tra queste, le principali sono l’elettroencefalogramma (EEG) e la risonanza magnetica funzionale (fMRI), strumenti in grado di rilevare come l’attivazione di specifici processi cognitivi influenzi le decisioni economiche in tempo reale.

I principi fondamentali della finanza comportamentale

Grazie ai numerosi studi condotti in questo ambito, sono stati delineati alcuni principi chiave della finanza comportamentale. Questi sono fondamentali per comprendere come gli investitori prendono decisioni nel contesto dei mercati e tutta la disciplina ruota attorno a queste 4 tematiche principali.

1) Euristiche

Le decisioni finanziarie, essendo dei processi di scelta a tutti gli effetti, si prestano a delle scorciatoie cognitive che permettono al soggetto di risparmiare le sue risorse mentali.

Spesso, questo avviene in maniera irrazionale e l’esito di una scelta può dipendere quindi da una componente psicologica, anche se nascosta.

Questi fenomeni prendono il nome di euristiche e sono delle caratteristiche intrinseche del ragionamento umano. Per via della loro componente innata, eliminarle è quasi impossibile e la scelta migliore risiede nella loro comprensione che porta, sicuramente, a vantaggi maggiori.

Queste “shortcut” mentali si basano su esperienze passate e limitano il soggetto nel valutare tutte le alternative disponibili. Tali meccanismi involontari possono portare, di conseguenza, a effettuare scelte rapide ma piuttosto imprecise.

Una delle euristiche più diffuse all’interno del contesto finanziario è l’euristica della disponibilità, che porta le persone a valutare la probabilità di un evento in base alla facilità con cui si riesce a ricordare di esempi pertinenti avvenuti in precedenza.

In alcune situazioni, infatti, gli azionisti potrebbero tendere ad attribuire più peso alle informazioni recenti o salienti come ad esempio notizie di scandali aziendali, crolli o successi improvvisi, piuttosto che fare un’analisi completa delle caratteristiche e dello storico di un’impresa.

Ad esempio, una società che ha recentemente attraversato e superato un periodo in rosso potrebbe essere percepita come un investimento rischioso e, quindi, da evitare, nonostante i suoi dati finanziari attuali siano in realtà stabili e positivi.

L’euristica della disponibilità è, in parte, anche alla base di altre dinamiche tipiche del contesto finanziario come il panic selling. Con questo termine ci si riferisce al senso di panico che si diffonde tra gli investitori quando osservano una fase di ribasso sul mercato che li porta a vendere le loro azioni prima del dovuto, con conseguenti danni economici.

La sensazione di paura appena citata è alimentata dalla tendenza degli investitori di ricordare e agire in base a informazioni recenti che, però, possono essere fuorvianti. Di conseguenza, la paura di subire ulteriori perdite può spingere a vendite precipitose o del tutto impulsive che aggravano ulteriormente il calo dei prezzi delle azioni.

2) Inquadramento

Per inquadramento (o framing) si intende il modo in cui le opzioni sono presentate all’investitore e ciò può influenzare significativamente le decisioni finanziarie.

Questo è uno dei concetti principali della behavioral finance e deriva direttamente dalla Teoria del Prospetto, che abbiamo accennato poco fa.

Secondo il modello Prospect, infatti, la percezione del valore non è fissa ma dipende dalla prospettiva da cui lo si osserva. Ad esempio, le perdite hanno un valore percepito maggiore dei guadagni e ciò significa che, a parità di cifra, perdere una somma farà più male che guadagnarla (avversione alla perdita).

Detto ciò, è facile immaginare come questi meccanismi inconsapevoli abbiano un effetto importante sulle dinamiche di investimento e, soprattutto, sulla compravendita di azioni nei momenti opportuni.

Avversione alle perdite

La Teoria del Prospetto è un valido esempio di come anche il lato emotivo influisce sulle scelte legate ai soldi.

L’avversione alla perdita, infatti, è uno dei principi alla base del framing e sostiene che alla perdita di una somma ne deriva un’attivazione emotiva negativa molto più forte della gioia che si avrebbe guadagnando una somma equivalente.

È proprio per questo motivo che, spesso, molti investitori aspettano l’ultimo momento prima di vendere un’azione che sta crollando e ciò comporta, in molti casi, un danno economico maggiore alle loro tasche.

A quest’ultimo concetto si ricollega, inoltre, l’effetto dotazione, un principio involontario secondo cui tendiamo ad attribuire maggior valore a un oggetto in nostro possesso piuttosto che a uno di prezzo equivalente che però non possediamo.

In maniera simile, un investitore potrebbe decidere di non vendere delle azioni in perdita solo perché è lui stesso a possederle, nonostante potrebbe optare per alternative migliori sul mercato.

Avversione al rischio

La Teoria del Prospetto introduce anche un ultimo concetto, quello dell’avversione al rischio. Questo spiega come gli esseri umani non tendono sempre a massimizzare i loro guadagni ma preferiscono, nella maggior parte dei casi, entrate minori ma sicure. Vediamo come ciò influisce in ottica finaziaria.

Prendiamo il caso di un investitore a cui vengono proposte due opzioni alternative:

  • il primo è un investimento sicuro al 100% ma con una rendita minore, di circa 5000 euro;
  • il secondo è più rischioso ma più profittevole: c’è il 50% di possibilità di guadagnare 10.000 euro.

In questo caso, la maggior parte degli investitori sceglierà la prima opzione, mostrando un’avversione al rischio.

È però doveroso sottolineare come questa tendenza a risparmiare pur di evitare un pericolo si manifesta solamente quando si parla di guadagni ipotetici. In prospettive di perdita, infatti, le persone preferiscono rischiare per via dei prinicpi spiegati in precedenza.

3) Bias cognitivi

Gli investitori, spesso, sono soggetti a numerosi bias cognitivi, ovvero degli errori di giudizio sistematici che vanno a distorcere i loro processi decisonali con effetti importanti sulle operazioni.

Un valido esempio è rappresentato dal bias di conferma. Questo si riassume nella tendenza dell’individuo a cercare, interpretare e ricordare informazioni in modo tale da confermare le proprie preconcezioni, tralasciando, però, altri aspetti fondamentali.

In finanza comportamentale il bias di conferma può portare un investitore a sovrastimare le informazioni che supportano le sue convinzioni preesistenti, ignorando invece quelle contrarie.

Per esempio, chi è convinto dell’efficacia degli investimenti sul settore tech potrebbe focalizzarsi solo su notizie positive sul mercato e trascurare segnali di eventuali rischi o cali. È facile comprendere come in questo modo ci si potrebbe esporre a decisioni di investimento sbagliate o sconvenienti.

Un altro errore cognitivo particolarmente influente è il bias dell’ancoraggio. Il suo nome deriva proprio dalla tendenza dell’individuo a dare importanza solo alle prime informazioni (l’ancora) di un fenomeno a cui si è stati esposti, anche se queste potrebbero essere fuorvianti o irrilevanti.

L’effetto di questo bias è particolarmente evidente in alcune dinamiche legate alle previsioni finanziarie. Poniamo che alcuni analisti prevedano una crescita del mercato del 10% entro un solo anno; molti investitori, di conseguenza, potrebbero fare molto affidamento su questa stima e potrebbero prendere decisioni basate solo su questa previsione, ignorando altri dati altrettanto importanti.

L’effetto gregge, poi, è un altro fenomeno collegato alla presenza dei bias cognitivi nel contesto finanziario. Questo fa riferimento alla tendenza degli investitori di imitare, in massa, le scelte degli altri portando il mercato a rapidi cali di domanda o di offerta.

Infine, un altro bias cognitivo attivo frequentemente all’interno della finanza comportamentale è l’errore fondamentale di attribuzione. Questo è un aspetto molto noto in psicologia sociale e rappresenta la tendenza dell’investitore ad attribuire le cause dei successi al proprio merito e a reputare gli altri colpevoli in caso di insuccesso o fallimenti.

4) Il ruolo delle emozioni

Infine, non è assolutamente da trascurare il ruolo che le emozioni rivestono nelle scelte finanziarie, soprattutto nei momenti di acquisto e vendita di azioni.

Secondo una serie di studi effettuati in ambito psicologico, un umore positivo tende a spingere il soggetto verso l’uso di processi mentali meno impegnativi e finalizzati al risparmio cognitivo. Alcuni di questi ultimi sono proprio le euristiche, che possono portare a compiere decisioni più affrettate, rapide e decisamente meno riflessive.

Al contrario, uno stato d’animo negativo (ma non troppo) tende a spingere le persone verso l’utilizzo di strategie di ragionamento più precise, accurate e impegnative. Quando siamo tristi, malinconici o demoralizzati, infatti, tendiamo a essere più attenti ai nostri investimenti e valutiamo in maniera più approfondita le alternative presenti.

Ovviamente, nel contesto finanziario le funzioni affettive rivestono un ruolo secondario che, comunque, non va sottovalutato.

Un chiaro esempio di come lo stato affettivo può avere un impatto nel mondo degli investimenti è rappresentato dal fenomeno dell’euforia dei mercati finanziari, spesso associato alle bolle speculative.

In questa situazione, lo stato di euforia legato a notizie positive sul mercato porta gli investitori a ignorare eventuali segnali di rischio e a prendere decisioni basate sull’entusiasmo piuttosto che su una valutazione attenta della situazione.

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