Gabbie salariali: cosa sono, come funzionano e perché fanno discutere

Ilena D’Errico

29 Gennaio 2023 - 14:17

Dopo anni dalla loro soppressione si è tornato a discutere delle gabbie salariali: di cosa si tratta e perché sono considerate un sistema dannoso?

Gabbie salariali: cosa sono, come funzionano e perché fanno discutere

Nell’ultimo periodo si è tornato a discutere delle gabbie salariali, in particolare a causa della proposta del ministro Valditara per l’aumento degli stipendi degli insegnanti. La discussione nasce dal fatto che le gabbie salariali sono già state utilizzate in Italia, per essere poi abolite definitivamente nel 1972, dopo la forte pressione esercitata dagli scioperi dei lavoratori scontenti di questa misura. Vediamo quindi di cosa si tratta e perché c’è un forte dibattito sulla loro possibile e presunta reintroduzione.

Cosa sono le gabbie salariali

Le gabbie salariali sono sostanzialmente delle differenziazioni territoriali degli stipendi, calcolate in ragione di criteri come il costo medio della vita. Nel dettaglio, le gabbie salariali sono state introdotte dall’accordo del 6 dicembre 1945 stipulato da Cgil, che era l’unico sindacato costruito dopo la caduta del fascismo. L’accordo originario riguardava solamente alcune regioni:

  • Lombardia;
  • Veneto;
  • Piemonte;
  • Liguria;
  • Emilia.

Nel dettaglio, le cinque regioni erano state suddivise in quattro aree salariali, con la massima differenza pari al 16%. Il 23 maggio 1946 l’accordo venne poi esteso anche al resto del territorio. In seguito, con la sottoscrizione anche da parte di Cisl e Uil, aumentarono le zone territoriali, con il conseguente aumento delle differenze. In quel periodo, tra la zona con salario più basso e quella con il salario più alto c’era infatti un dislivello del 30%. Per questo motivo nel 1961 intervenì un nuovo accordo per ridurre le zone salariali a 7 e abbassare la differenza di stipendi al 20%.

Gli effetti negativi delle gabbie salariali: perché furono rimosse

Nonostante l’accordo del 1961 avesse cercato di riequilibrare le differenze in modo più equo, l’Italia si ritrovò divisa da livelli di retribuzioni eccessivamente sbilanciati. La cosiddetta zona zero assicurava lo stipendio massimo e includeva:

  • Torino;
  • Genova;
  • Milano;
  • Roma.

Gli stipendi più bassi erano invece destinati all’Italia meridionale, così il sistema delle gabbie salariali iniziò ad assumere contorni sempre più discriminatori, considerando la rapida crescita economica. Di conseguenza, durante il mese di aprile del 1968, Cgil, Uil e Cisl denunciarono l’accordo, innescando una consistente serie di scioperi in tutto il territorio nazionale. Le imprese a partecipazione statale, rappresentate da Intersind, firmarono quindi un accordo per il superamento delle zone salariali già nel dicembre del ‘68. La soppressione completa delle gabbie salariali, tuttavia, si ebbe soltanto nel 1972, dopo la spinta del massiccio sciopero generale del 12 febbraio 1969, che spinse la Confapi ad accettare la soppressione graduale.

Le gabbie salariali potrebbero tornare e fanno ancora discutere

L’applicazione pratica delle gabbie salariali ha prodotto senza dubbio degli effetti negativi, provocando un aumento sensibile della disparità, anziché agire per portare i diversi territori a un livello equo. Nonostante ciò, le differenze territoriali dal punto di vista economico sono innegabili e permangono ancora oggi, motivo per cui molto spesso si torna a discutere delle gabbie. In effetti, è la stessa Costituzione a invitare alla giustizia sostanziale, che deve operare attraverso una specie discriminazione a fine equitativo. Di conseguenza, Valditara ha proposto una differenziazione territoriale per quanto riguarda gli insegnanti pubblici. La proposta riguarda esclusivamente l’importo di un possibile aumento, senza effetti sul Contratto collettivo, ma nonostante questo ha dato il via ad aspre critiche.

Maurizio Landini, leader della Cgil si è quindi detto piuttosto preoccupato riguardo alla dichiarazione di Valditara. La paura riguarda principalmente il timore di un ritorno al sistema delle gabbie salariali, mentre il governo non ha ancora stanziato fondi per rinnovare i contratti pubblici. Secondo Landini, sarebbe più opportuno occuparsi di altri problemi più pressanti, come l’evasione fiscale e la rendita finanziaria, piuttosto che discutere ancora sui salari territoriali. Fattori, peraltro, su cui si terrebbero incontri inconcludenti fra il governo e i sindacati, anche a causa della questione dell’autonomia, secondo Cgil.

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