Inizia a farsi pesante il bilancio delle vittime in Libia: i motivi di questa guerra civile, chi sono le fazioni che si fronteggiano e qual è la posizione dell’Italia in questo conflitto che va avanti da inizio aprile.
La Libia è ormai sempre più impelagata in una guerra civile, con le truppe fedeli al generale Khalifa Haftar che il 4 aprile hanno attaccato la capitale Tripoli, dove ha sede il Governo di Accordo Nazionale riconosciuto dall’ONU e presieduto da Fayez al Sarraj.
Dopo questi primi mesi di combattimento si contano centinaia di vittime, tra cui molti civili come i circa 100 migranti (soprattutto sudanesi, somali ed eritrei) che hanno perso la vita a causa del bombardamento dal parte di aerei di Haftar di un centro che ospitava immigrati.
La situazione è quindi sempre incandescente, tanto che una possibile escalation di questa guerra spaventa tutta la comunità internazionale, Italia in primis, vista l’importanza strategica, sia politica che economica, che rappresenta un paese come la Libia nel delicato scacchiere geopolitico mondiale.
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Guerra in Libia: come ci siamo arrivati
Fino alla Seconda Guerra Mondiale la Libia era una delle colonie africane dell’Italia. Dopo la fine del conflitto, visto l’esito il paese finì sotto il controllo della Francia e del Regno Unito, fino alla sua indipendenza datata 1° gennaio 1952.
Nacque così il Regno di Libia, una monarchia guidata dal re Idris che però, accusata di essere corrotta e troppo filo-Occidentale, cadde nel 1969 per mano di un colpo di Stato guidato dal colonnello Mu’ammar Gheddafi.
L’iniziale socialismo rivoluzionario di Gheddafi lasciò presto il posto a una vera e propria dittatura, interrotta soltanto nel 2011 quando, in piena Primavera Araba e con l’intervento della NATO, venne ucciso dai ribelli insorti.
Caduto Gheddafi, la Libia però non trovò una pacificazione nonostante che nel 2012 si tennero delle elezioni libere. Una situazione di grande caos che sfociò in una seconda guerra civile con la nascita di due distinti governi.
La divisione attuale della Libia
Dopo le elezioni la Libia era guidata dal Congresso Nazionale Generale dove i partiti islamisti erano la maggioranza. Nel 2014 però è entrato sulla scena Khalifa Haftar, un generale che ha servito anche Gheddafi, che dopo aver chiesto nuove elezioni ha dato il via a un colpo di Stato.
Nonostante il voto gli scontri tra le milizie islamiste e quelle fedeli al generale Haftar non si sono fermati, fino alla nascita di due distinti governi rispettivamente di base a Tripoli e Tobruk.
Nel 2015 quindi è sceso in campo l’ONU per cercare di formare un governo di unità nazionale vista la divisione, indicando Fayez al Sarraj come nuovo primo ministro e chiedendo alla comunità internazionale di riconoscere il suo governo di stanza a Tripoli in attesa di nuove elezioni.
Il paese però è continuato a essere spaccato a metà, con il governo parallelo di Tobruk che fa capo al generale Haftar che non è mai giunto a un accordo con quello di Tripoli mentre nella parte desertica del paese a comandare sono le varie tribù locali, con anche l’Isis che gestisce alcuni territori.
La situazione attuale è quindi che il governo di unità nazionale riconosciuto di Fayez al Sarraj (colore blu) ha il controllo della capitale Tripoli, godendo del sostegno anche delle potenti milizie di Misurata.
Il generale Khalifa Haftar e il suo governo situato a Tobruk (colore ocra) hanno il controllo invece di tutta la parte Orientale della Libia, mentre a Sud (colore viola) a dettare legge ci sono alcune tribù locali e l’Isis.
La nuova guerra civile
La Libia quindi da tempo è in questa sorta di limbo. In attesa che vengano fatte delle nuove elezioni libere per riunire il paese, ci sono due governi e una vasta fetta del territorio che è una sorta di terra di nessuno.
In questo contesto, sta riprendendo vigore l’azione dell’Isis con molti combattenti che si sono spostati nel paese africano dopo la caduta dello Stato Islamico in Siria. C’è poi la questione dei migranti che interessa le varie bande di trafficanti.
Non bisogna poi dimenticare le grandi ricchezze del sottosuolo libico, con importanti giacimenti di petrolio e di gas che allettano le grandi potenze mondiali sempre a caccia di nuove risorse.
Per i due governi è quindi fondamentale avere il controllo dei giacimenti, per stringere poi ricchi accordi commerciali con le grandi aziende internazionali del settore tra cui anche l’italiana Eni.
Il governo di Tripoli è in teoria quello riconosciuto dalla comunità internazionale, ma quello di Tobruk sembrerebbe avere alle sue spalle il sostegno di Egitto, Arabia Saudita e Russia, oltre a voci che vedono una vicinanza anche della Francia.
Dopo mesi di incontri e trattative per cercare di giungere a un accordo e a delle nuove elezioni, il generale Haftar ha deciso di muovere le sue truppe verso Tripoli e iniziare ad attaccare la capitale.
Forti del sostegno delle milizie di Misurata, nemiche giurate di Haftar, l’esercito che fa capo al primo ministro al Sarraj ha subito risposto all’attacco: anche se entrambi gli schieramenti sono frammentati e non armati al meglio, non sono mancati attacchi aerei e lanci di razzi.
Il bilancio del primo mese di scontri è di oltre 345 morti e circa 1.650 feriti , ma con questa guerra civile che si fa sempre più cruenta la conta attuale è molto più pesante rispetto a quella delle prime settimane.
La posizione dell’Italia
Questa nuova guerra in Libia preoccupa molto l’Italia per svariati motivi, non soltanto per la vicinanza geografica. Il nostro paese infatti è il primo partner commerciale di Tripoli fin dai tempi di Gheddafi.
Al momento sono circa 50 le aziende italiane che hanno rapporti commerciali con la Libia, per un totale di oltre 60.000 lavoratori coinvolti compresi anche quelli dell’indotto e un valore complessivo di scambi che nel 2015 era di 11 miliardi.
L’Eni che adesso riesce in Libia a estrarre 320.000 barili di petrolio al giorno, visto la pericolosità della situazione attuale ha deciso, in maniera precauzionale, di evacuare il personale italiano di stanza nel paese africano.
Una instabilità che di certo non giova agli affari nostrani. L’Italia infatti ha da sempre sostenuto il governo di al Sarraj, mentre la Francia che si dice voglia prendere il nostro posto come primo partner commerciale della Libia, viene chiacchierato come vicino ad Haftar.
Dopo il bombardamento del centro migranti da parte delle truppe ribelli, Matteo Salvini ha avuto parole molto dure nei confronti dell’uomo forte della Cirenaica: “Haftar ha la responsabilità di un attacco criminale, mi auguro non ci sia più nessuno, e non cito i francesi, che per interesse economico e commerciale bombardi obiettivi civili”.
Oltre che per la questione dei migranti, per Roma è fondamentale comunque avere a prescindere un rapporto privilegiato con Tripoli: ora che c’è al Sarraj non ci sono problemi, ma se domani al comando ci dovesse essere Haftar le cose potrebbero cambiare.
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