Le tensioni in Medio Oriente e il conflitto in Ucraina si intrecciano in un complesso gioco di alleanze e rivalità globali, rivelando connessioni strategiche.
La geopolitica è fatta di interconnessioni, dove ogni crisi diventa terreno fertile per nuove mosse strategiche. Un esempio recente è l’avanzata dei ribelli siriani di Hay’at Tahrir al-Sham (HTS) nella provincia di Aleppo. Questo gruppo islamista, emerso nel 2011 sotto un nome diverso e con radici ideologiche vicine ad Abu Bakr al-Baghdadi, si distingue per il suo approccio riconducibile a un’interpretazione jihadista, distante dalla retorica rivoluzionaria dei Free Syrian Army. Approfittando della distrazione degli alleati di Bashar al-Assad, gli HTS hanno colto un momento propizio per rafforzare le loro posizioni. Ma perché partiamo da qui?
Perché prima di tutto serve parlare di Siria
Il contesto offre una lezione chiave sulla fragilità delle alleanze in un sistema multipolare. La Russia, impegnata sul fronte ucraino, ha ridotto la sua presenza militare in Siria, mentre l’Iran, tradizionale sostenitore di Assad, è assorbito dalle tensioni con Israele. Hezbollah, anch’esso spesso al fianco di Assad, si trova in difficoltà, combattendo su più fronti e con risorse ridotte. Questa combinazione di distrazioni ha permesso agli HTS di guadagnare terreno in una delle aree più contestate della Siria.
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Ad aiutare Assad, che attualmente dispone di un esercito scarno, è rimasta soprattutto la Russia. Sebbene storicamente fosse l’Iran a sostenere Assad, ora Hezbollah, uno dei principali alleati iraniani, è impegnato su altri fronti, riducendo il suo ruolo. Putin, invece, continua a supportare Assad per mire geopolitiche specifiche: mantenere una presenza militare strategica nel Mediterraneo orientale attraverso la base navale di Tartus e quella aerea di Khmeimim, oltre a preservare la sua influenza sulla regione per contrastare l’Occidente.
Da questo quadro emerge un’analogia con le attuali dinamiche in Ucraina e Medio Oriente. Osservando come i ribelli siriani hanno saputo sfruttare le debolezze degli avversari, scopriamo che i conflitti in corso dimostrano quanto le tensioni in una regione possano influenzare altre crisi.
Uno scenario multipolare, per avere in mano le premesse
Gruppi ceceni anti-russi, come il Battaglione Sheikh Mansur e il Battaglione Dzhokhar Dudayev, combattono al fianco delle forze ucraine contro i separatisti filorussi, vedendo il conflitto come un’estensione della loro lotta contro la Russia. Secondo il Kiev Post, tra le forze ribelli figurano anche membri del Partito Islamico del Turkestan (TIP) della regione di Idlib, che avrebbero ricevuto addestramento sulle tattiche di guerra moderne, come l’uso dei droni, dalle forze speciali ucraine del gruppo Khimik. Ancora una volta, emerge come lo jihadismo, pur essendo trattato come il male opposto ai valori occidentali, si riveli strumentale agli interessi geopolitici dell’Occidente, agendo in contesti chiave per ostacolare gli avversari strategici.
Parallelamente, le Forze Democratiche Siriane (SDF) a guida curda hanno attaccato Aleppo da est, conquistando l’aeroporto internazionale. L’Osservatorio siriano per i diritti umani ha riferito di almeno 40 civili uccisi o feriti da bombardamenti aerei russi sulla città. La situazione rimane tesa, con la Russia che avrebbe iniziato a mobilitare rinforzi militari, compresi caccia Su-34, da altre aree per sostenere le forze siriane.
L’impatto del conflitto in Medio Oriente sulla guerra in Ucraina
L’intensificarsi delle ostilità in Medio Oriente, in particolare tra Israele e gruppi come Hamas e Hezbollah, ha implicazioni dirette sul conflitto ucraino. La Russia, alleata dell’Iran e coinvolta nel teatro siriano, potrebbe anzitutto trarre vantaggio dalla distrazione dell’attenzione occidentale verso il Medio Oriente, riducendo la pressione internazionale sulla sua aggressione in Ucraina. Inoltre, l’impegno degli Stati Uniti nel sostenere Israele potrebbe limitare le risorse disponibili per l’assistenza all’Ucraina, influenzando l’equilibrio delle forze sul campo.
In breve, le forze russe potrebbero intensificare le operazioni in Ucraina, approfittando di un momento in cui gli Stati Uniti sono impegnati su più fronti. Questo è un modello già osservato proprio nel caso degli HTS in Siria e si riflette nella capacità di Mosca di sfruttare le distrazioni geopolitiche per avanzare i propri obiettivi strategici.
Infatti, è l’analista geopolitico Dario Fabbri a sostenere che la Russia potrebbe sfruttare l’escalation in Medio Oriente per consolidare le sue posizioni in Ucraina. In un’analisi recente, egli ha evidenziato come Mosca possa utilizzare la distrazione occidentale per intensificare le operazioni militari, approfittando della ridotta attenzione internazionale. Questa strategia non è nuova nella storia della geopolitica e si basa su una logica che consente di massimizzare i vantaggi sfruttando le vulnerabilità altrui.
Il ruolo degli Stati Uniti e le Implicazioni per l’Ucraina e la complessità delle alleanze regionali
In questo scenario, l’amministrazione statunitense non è esclusa: si trova a bilanciare il sostegno a Israele con l’assistenza all’Ucraina. La fornitura di armi e supporto militare a entrambi i fronti potrebbe mettere a dura prova le capacità logistiche e finanziarie degli Stati Uniti, influenzando l’efficacia del loro intervento in entrambe le regioni. Inoltre, l’attenzione mediatica e politica concentrata sul Medio Oriente potrebbe portare a una diminuzione dell’interesse pubblico e governativo verso la situazione ucraina, con possibili ripercussioni sul sostegno internazionale a Kiev. Questo overstretching strategico è stato già osservato in passato e rappresenta una sfida per qualsiasi potenza globale che tenti di gestire più crisi simultaneamente.
Diventa molto affascinante, in un contesto così poliedrico, riportare le parole di Ludovica Parrini. Parrini, analista dell’Istituto di Analisi delle Relazioni Internazionali (IARI), ha evidenziato come i conflitti contemporanei non siano più limitati alla dimensione cinetica, ma includano una sempre più pervasiva cyberwar. Questi conflitti ibridi, in cui attacchi cibernetici e disinformazione si affiancano alle operazioni tradizionali, si manifestano con forza sia in Ucraina sia in Medio Oriente.
Il concetto di «guerra ibrida»
La “guerra ibrida” è, in sostanza, un conflitto che combina operazioni tradizionali (cinetiche) con altre nuove tecniche (come ad esempio attacchi cibernetici, propaganda e disinformazione). L’attacco ai walkie- talkie in Libano è un esempio molto calzante in tal senso.
Questa strategia sfrutta la transnazionalità e la plausibile negabilità (si può letteralmente negare di aver commesso una serie di attacchi) per colpire infrastrutture critiche ma allo stesso tempo influenzare il consenso, rendendo più complessa la gestione e la risoluzione del conflitto. In Ucraina, la Russia ha integrato sofisticati attacchi cibernetici volti a interrompere servizi essenziali e diffondere disinformazione, sfruttando la plausibile negabilità per evitare responsabilità dirette. Questa strategia si è dimostrata efficace nell’influenzare le dinamiche sul campo e nella propaganda.
Nel conflitto israelo-palestinese, Israele ha subito attacchi DDoS coordinati da gruppi hacker filo-palestinesi come Cyb3r Drag0nz Team e Anonghost, che hanno colpito infrastrutture critiche come i sistemi di allerta razzi. Un attacco DDoS (Distributed Denial of Service) è una strategia informatica in cui un gran numero di dispositivi compromessi invia richieste simultanee a un server o a una rete, sovraccaricandoli e rendendoli temporaneamente inutilizzabili. Parallelamente, Israele non è rimasto fermo: ha sferrato controffensive digitali che hanno paralizzato i servizi nella Striscia di Gaza.
Parrini sottolinea come queste dinamiche evidenzino la natura transnazionale della cyberwar, con attori statali e non statali che operano al di fuori dei confini fisici del conflitto. La transnazionalità, combinata con il supporto di potenze regionali, aumenta la complessità e i rischi di escalation. A tal proposito l’Iran, storico rivale di Israele e alleato della Russia, ha un ruolo chiave nella dimensione cibernetica, come dimostrato dal noto caso Stuxnet del 2010 (un malware sofisticato creato per sabotare il programma nucleare iraniano, danneggiando centrifughe tramite attacchi mirati al software industriale, che si ritiene che sia stato sviluppato da USA e Israele) e dalle attuali tensioni con Tel Aviv. Non serve riflettere molto per comprendere che tutto ciò aggrava le implicazioni geopolitiche dei conflitti.
L’avanzamento tecnologico e le sue conseguenze in geopolitica
Gideon Rose, esperto del Council on Foreign Relations in un articolo per NPR, osserva un’analogia tra i conflitti in Ucraina e in Medio Oriente. Banalmente, entrambi hanno una posta in gioco elevatissima. In questo senso la tesi di Rose è chiara (ma soprattutto è posizionata): la Russia cerca di assoggettare l’Ucraina, mentre l’Ucraina lotta per la sua sopravvivenza. Parallelamente, Israele cerca di eliminare la minaccia rappresentata da Hamas, e i palestinesi tentano di resistere al controllo israeliano.
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Quindi Rose, nell’analisi su NPR, traccia un confronto netto tra i conflitti in Ucraina e in Medio Oriente, dipingendo entrambi come lotte esistenziali tra una potenza maggiore e una minore, un moderno “Davide contro Golia”. Tuttavia, questa visione, pur suggestiva, appare estrema. Mentre l’Ucraina beneficia di un sostegno massiccio e continuo da parte dell’Occidente, il conflitto a Gaza si svolge in un silenzio internazionale che lascia Israele agire quasi impunito. Questa disparità rende difficile sostenere un paragone equilibrato tra i due scenari, evidenziando come (contrariamente alla tesi di Rose) il contesto geopolitico e le reazioni globali abbiano creato dinamiche profondamente diverse nei due teatri di guerra.
Piuttosto, un fattore determinante che prolunga questi conflitti è l’ampia disponibilità di armi e tecnologia avanzata. In Ucraina, droni economici hanno dimostrato la capacità di sovvertire le tradizionali dinamiche di potere militare. In Medio Oriente, il supporto iraniano ha permesso a Hamas e Hezbollah di migliorare significativamente il raggio e l’efficacia dei loro armamenti, trasformando i razzi artigianali in minacce strategiche per Israele.
Un futuro troppo veloce accompagnato da una scarsa lungimiranza politica
La mancanza di soluzioni politiche durature rappresenta un ostacolo cruciale nei conflitti contemporanei. Ma andando ancora più in profondità e parafrasando Chuck Freilich in NPR, a Israele manca proprio una strategia politica di lungo periodo con cui affrontare le radici del conflitto palestinese. Ciò porta ad un fallimento sistematico nei negoziati, la cui conseguenza è che si finisce per limitarsi a risposte militari. Questa assenza di visione strategica in tal senso impedisce di trasformare le vittorie tattiche in una stabilità concreta e sostenibile, alimentando ulteriormente il ciclo di violenza.
Un discorso simile si applica alla Russia nel conflitto ucraino. Vladimir Putin ha perseguito una strategia aggressiva e revisionista, ma senza un piano politico credibile per la pace, si limita a consolidare il controllo sui territori occupati attraverso la forza. Questa carenza di prospettive politiche nei due teatri di guerra sottolinea come l’approccio militare, privo di un accompagnamento diplomatico, non solo perpetui lo stallo, ma accresca le sofferenze delle popolazioni coinvolte, trascinando i conflitti verso una pericolosa indeterminatezza.
Un approccio geopolitico sincero
Nonostante le molte visioni valide che ne emergono è necessario fare una precisazione finale. Questo parallelismo, per quanto utile, non può essere esaustivo di nessuno dei due conflitti. In geopolitica, infatti, esistono linee guida comuni, come sottolineato dal neorealismo di Kenneth Waltz, che evidenzia come gli attori internazionali agiscano entro un sistema regolato da dinamiche simili. Storici come Fernand Braudel, legati alla scuola delle Annales, mostrano anche come i processi locali e territoriali determinino in modo unico lo sviluppo di ogni conflitto. Proprio rispetto a ciò Edward Said, teorico della cultura di origine palestinese-americana, ha criticato l’applicazione di schemi universali, mettendo in luce la necessità di considerare la complessità culturale e storica, specialmente in contesti come il Medio Oriente. Queste peculiarità conferiscono a ciascuna situazione un grado unico di complessità.
Comprendere tali dinamiche è fondamentale per evitare di cadere in letture semplicistiche che rischiano di oscurare le vere radici dei conflitti. Ogni teatro di guerra ha una propria narrazione e una rete di interessi che lo rende irripetibile, e affrontarlo senza considerare questa unicità non farà che perpetuare cicli di violenza. La sfida della geopolitica è quindi tradurre l’analisi in azioni che bilancino pragmatismo e consapevolezza storica. Una sfida ancora non conclusa.
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