Sulla guerra in Ucraina i Paesi asiatici sono divisi su due fronti: da una parte c’è la Cina e dall’altra una posizione ben diversa (ma poco interventista) di Giappone e Corea del Sud.
Mentre Xi Jinping brindava con Vladimir Putin in quel di Mosca, rinsaldando la partnership senza limiti tra Cina e Russia, a circa 800 chilometri di distanza Fumio Kishida, in missione a Kiev, deponeva una corona di fiori davanti alla chiesa di Bucha, città diventata un simbolo delle atrocità russe contro i civili in Ucraina.
Il Giappone ha sostenuto l’Ucraina diplomaticamente e con aiuti finanziari ma, a differenza di tutti gli altri membri del Gruppo dei Sette che Tokyo attualmente guida, non ha fornito a Kiev armi letali, e ciò a causa delle restrizioni di lunga data del Paese asiatico sulla vendita di armi.
Questa nazione, infatti, pur dimostrando vicinanza all’Ucraina, deve tener conto di due aspetti cruciali: Tokyo ha in ballo una storica disputa territoriale con la Russia e ha continuato ad acquistare gas naturale liquefatto da Mosca (Tokyo ha importato circa 1 miliardo di dollari di Gnl dalla Russia nei primi due mesi del 2023).
Una posizione del genere è simile a quella sposata dalla Corea del Sud, un altro alleato degli Stati Uniti in Asia (Seul ha in più però venduto ingenti quantità di munizioni e armi a Washington e agli alleati Usa, ma mai direttamente all’Ucraina). All’orizzonte si delineano così due approcci asiatici contrapposti per la risoluzione della crisi ucraina.
Da una parte troviamo la via cinese, della quale Xi si è fatto portatore globale; dall’altra ecco invece il modus operandi giapponese (e pure coreano), che ricalca le parole chiave dell’Occidente, ma che deve comunque tener conto di interessi nazionali e priorità strategiche, in primis quelle energetiche. In mezzo, a dire il vero, troviamo una terza opzione ancora più ambigua, sposata da numerosi Paesi asiatici che non intendono ancora esporsi, come i membri dell’Asean e l’India.
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