La banca centrale turca ha nuovamente sorpreso gli analisti: il taglio dei tassi, infatti, è andato oltre le attese. Prosegue, quindi, la discutibile politica della Turchia, con l’inflazione all’83%.
Ancora una decisione shock nella politica monetaria turca: la banca centrale ha tagliato i tassi di interesse per il terzo mese consecutivo, con il suo più grande intervento quest’anno.
Nonostante l’inflazione alle stelle che sta comprimendo le famiglie, le opinioni economiche non ortodosse del presidente Erdogan non arretrano di un millimetro.
Gli analisti si aspettavano una riduzione di 100 punti base, ma agendo con un taglio di 150 pb, la mossa è riuscita comunque a sorprendere molti. I prezzi al consumo per il Paese di 84 milioni di persone sono saliti, intanto, al nuovo massimo degli ultimi 24 anni dell′83,45% a settembre, anche se molte persone che vivono in Turchia affermano che i beni di prima necessità sono in alcuni casi più che triplicati nell’ultimo anno.
Turchia in controtendenza: inflazione ai massimi, tassi sempre più bassi
La banca centrale turca ha ridotto il tasso di interesse di riferimento di 150 punti base nel terzo mese consecutivo di tagli, dal 12% al 10,5%, nonostante l’inflazione turca sia superiore all′83%.
È di fondamentale importanza che le condizioni finanziarie rimangano favorevoli per preservare lo slancio della crescita della produzione industriale e il trend positivo dell’occupazione tra le incertezze sulla crescita globale e i rischi geopolitici: così si legge nella nota della decisione della Banca centrale.
La dichiarazione segnalava anche che la banca avrebbe compiuto un passo simile a novembre, che avrebbe portato il tasso ufficiale a una cifra.
Cosa aspettarsi per l’economia e le finanze turche? La politica monetaria del Paese, diretta de facto dallo stesso Erdogan, si basa sul perseguimento della crescita e della concorrenza all’esportazione piuttosto che sul contenimento dei prezzi al consumo. Il presidente sposa apertamente la convinzione non ortodossa che l’aumento dei tassi di interesse aumenti l’inflazione, piuttosto che il contrario, e ha definito il rialzo dei tassi “la madre di tutti i mali”.
La politica perseguita finora, però, ha suscitato critiche e sconcerto da parte degli economisti e sta giocando un ruolo importante nel drammatico indebolimento della lira, che quest’anno ha perso circa il 28% del suo valore rispetto al biglietto verde.
La valuta turca è rimasta più o meno piatta dopo la notizia a 18,59 per dollaro, in bilico attorno a un minimo storico. È scesa del 50% rispetto al biglietto verde negli ultimi 12 mesi. Mentre il disavanzo delle partite correnti della Turchia si è ridotto ad agosto grazie all’aiuto delle entrate del turismo, secondo i dati di Goldman Sachs, si attesta ancora a un considerevole $3,1 miliardi.
L’obiettivo di Erdogan è la ri-elezione
Il governo turco ha perseguito strategie alternative per rafforzare la sua valuta, inclusi programmi per incoraggiare i depositi in lire nelle banche, vendendo dollari per lira - che ha ridotto le sue riserve di valuta estera - e ottenendo investimenti e assistenza dai ricchi stati del Golfo per finanziare il suo intervento valutario.
Ankara è anche rimasta amica di Mosca, attirando ondate di milionari e miliardari russi mentre cercano di eludere le sanzioni occidentali.
Timothy Ash, uno stratega senior dei mercati emergenti presso BlueBay Asset Management, afferma su Cnbc che tutto ciò è finalizzato alla vittoria delle prossime elezioni generali turche nel luglio del 2023.
“Queste politiche a favore della crescita potrebbero far vincere le elezioni a Erdogan, ma aumenteranno la domanda di importazioni, mineranno la competitività e sicuramente aumenteranno in modo massiccio il disavanzo delle partite correnti”, ha detto l’esperto.
Tuttavia, Erdogan conta su costi di finanziamento inferiori per dare impulso all’economia. Ha espresso il desiderio che i tassi di interesse scendano a una cifra e la convinzione che la lira così si apprezzerà. Il presidente ha anche affermato che gli investimenti e la crescita possono avvenire solo a bassi tassi di interesse e ha incoraggiato le imprese a prendere in prestito dalle banche statali.
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