Il numero di contratti a termine attivati deve rispettare precisi limiti quantitativi. Una verifica importante richiesta al datore di lavoro chiamato a districarsi tra legge e contratto collettivo
La normativa italiana nell’ottica di promuovere l’attivazione di contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato, interpretati come la forma comune di rapporto di lavoro, ha imposto una serie di limitazioni per quanti fanno ricorso a tipologie contrattuali che, per le loro caratteristiche in termini di durata o impegno lavorativo, non garantiscono la stessa stabilità e tutela economico - normativa del rapporto a tempo indeterminato.
Uno degli esempi principali è rappresentato dal contratto a tempo determinato, soggetto ad una serie di paletti, in particolare per quanto riguarda la durata massima (24 mesi), l’obbligo di giustificare il rapporto con una serie di causali (superati i 12 mesi o comunque in caso di rinnovo) ed il tetto al numero di proroghe (4).
La stessa presenza in organico di lavoratori a tempo determinato deve rispettare specifiche soglie numeriche, definite dal contratto collettivo nazionale di lavoro (Ccnl) applicato o, in mancanza, dalla legge. [...]
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