Un percorso “lunare” tra design e innovazione che racconta il successo economico e l’evoluzione di un brand in ascesa. La nostra intervista al team di Imoon.
Dall’8 al 13 aprile, il Salone del Mobile di Milano accende i riflettori su Euroluce 2025 e tra gli stand che più sorprendono per originalità e profondità progettuale c’è quello di Imoon, azienda milanese leader nell’illuminazione per il retail e sempre più protagonista nel mondo architetturale.
Il concept espositivo di Imoon non si limita a mostrare prodotti: è un invito a entrare in un racconto esperienziale, dove la luce guida lo sguardo e stimola la percezione. Un ambiente immersivo e concettualmente forte, che interpreta l’identità del brand e la sua visione in continua evoluzione.
Abbiamo incontrato il team di Imoon proprio all’interno di questo spazio per un’intervista esclusiva, in cui abbiamo approfondito i risultati economici dell’azienda, le prospettive di crescita in Italia e all’estero e le linee guida del percorso progettuale che sta ridefinendo il ruolo della luce negli spazi commerciali e architetturali.
Nel 2024 avete chiuso il bilancio con 24 milioni di euro di fatturato. Quali sono le previsioni per il 2025 e quali fattori hanno sostenuto questa crescita?
Il 2024 è stato un anno record per noi, spiega Pierluigi Gusmani – International Sales Director. I numeri lo confermano, ma ciò che conta davvero è che questi risultati arrivano da una strategia di diversificazione solida, sia in termini geografici che di applicazioni. Abbiamo esteso la nostra presenza in nuovi mercati e ci siamo aperti a nuovi segmenti, oltre il retail. Il 2025 si prospetta altrettanto promettente. Non possiamo ancora quantificare una crescita precisa, ma abbiamo fiducia che l’espansione continuerà, grazie anche all’ingresso nei settori dell’architettura, dell’hotellerie e, in prospettiva, del residenziale.

Due terzi del vostro fatturato proviene ancora dal mercato italiano, ma siete presenti in oltre 60 Paesi. Quali sono oggi le vostre priorità strategiche per l’export?
Oggi siamo attivi in 65 Paesi. Portiamo all’estero un valore distintivo: la capacità di offrire soluzioni personalizzate, disegnate su misura delle esigenze dei clienti. In Europa, stiamo rafforzando la presenza nell’area DACH con un nuovo direttore commerciale residente in Germania. In America, vogliamo consolidare quanto già avviato con partner come Whole Foods - acquisito da Amazon - ma puntiamo anche ad ampliare la proposta oltre il retail. In India apriremo una sede entro fine anno, mentre per l’Arabia Saudita – dove abbiamo già ottenuto le certificazioni necessarie per operare – lavoriamo su progetti ambiziosi che si svilupperanno nei prossimi 3-5 anni.
In un contesto globale segnato da dazi e tensioni commerciali, soprattutto extra-UE, quale impatto prevedete sulla vostra strategia internazionale?
Non ci aspettiamo contraccolpi rilevanti. I clienti americani, ad esempio, ci scelgono per un valore aggiunto che va oltre il prodotto: la nostra luce non è una commodity, è uno strumento che migliora la customer experience e quindi i risultati di business. Il nostro approccio progettuale è apprezzato perché porta risultati concreti. I dazi possono rallentare, ma non fermare la nostra strategia.

LEM è la vostra grande novità per Euroluce. Che ruolo ha questo prodotto nel vostro percorso evolutivo?
LEM è un passo importante, un ponte tra il nostro know-how nel retail e il mondo dell’hospitality e dell’architettura, spiega Marco Antonacci – Responsabile Commerciale Divisione Retail. Il concept nasce da un modulo lunare – firmato dagli architetti Alessandro Pedretti e Andrea Benedetto – ed è pensato per adattarsi ai linguaggi progettuali più diversi. È un sistema modulare e flessibile, personalizzabile nelle ottiche, nei materiali e persino nella funzione decorativa. Un prodotto tecnico ma capace di parlare anche la lingua dell’emozione. LEM rappresenta la nostra voglia di metterci in gioco in nuovi ambiti, con la stessa qualità e attenzione al dettaglio che ci ha sempre contraddistinto.

Avete da poco completato un progetto con Dynafit, per la costruzione del loro quartier generale a Kiefersfelden, in Germania. Com’è nata questa collaborazione e quali sfide ha comportato?
La collaborazione sul progetto, che è nata da una conoscenza pregressa con il gruppo Oberalp, per il quale realizziamo da tempo l’illuminazione degli store Salewa, ci ha dato l’opportunità di confrontarci con lo studio di Architettura Barozzi Veiga di Barcellona, artefici del progetto architettonico, sulle tematiche legate all’interazione tra luce naturale ed artificiale.
Quando ci hanno coinvolti per il nuovo Headquarters Dynafit, abbiamo accettato con entusiasmo, racconta Filippo Squillace – Architectural Division Manager: sapevamo che sarebbe stato un progetto sfidante, ma anche stimolante.

L’edificio aveva vincoli strutturali precisi e margini d’intervento molto stretti. Il nostro compito era integrare la luce in modo coerente con l’architettura esistente, valorizzandone i volumi e rispettandone l’identità. Abbiamo lavorato a stretto contatto con l’architetto e con il cliente per trovare soluzioni su misura, adattate allo spazio e all’esperienza che volevano offrire. È stato un lavoro di precisione, ma anche di ascolto e visione condivisa. Di sicuro uno di quei progetti che consolidano un’identità e aprono nuove strade.
Prossimo appuntamento?
Ci vediamo a Euroshop, con una nuova visione su come la luce può raccontare e trasformare gli spazi.
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