L’inflazione sta per affondare i mercati? 4 motivi di rischio

Violetta Silvestri

23/09/2023

La prossima settimana sarà ancora all’insegna dell’inflazione, osservata speciale e possibile motore di nuovi shock per i mercati. Ci sono almeno 4 motivi di rischio per le Borse mondiali.

L’inflazione sta per affondare i mercati? 4 motivi di rischio

Osservata speciale dai mercati sarà ancora l’inflazione la prossima settimana, con almeno 4 motivi di rischio di un affondo delle Borse.

Dopo che le banche centrali più importanti del mondo si sono pronunciate a settembre, con la consapevolezza che i prezzi al consumo stanno calando dai massimi picchi, ma non abbastanza da abbassare i tassi, i riflettori si accendono proprio su nuovi dati che riguardano l’inflazione.

Dagli Usa all’Eurozona fino ai Paesi asiatici alle prese con una gestione non facile delle loro valute - legate strettamente alla politica dei tassi delle banche centrali e quindi all’andamento dell’inflazione - e alle quotazioni del petrolio tornate a impennarsi, le aree economiche cruciali a livello globale sveleranno gli aggiornamenti sui prezzi, mentre sono in allarme per l’oro nero. I mercati sono pronti a nuove scosse?

I rischi di instabilità la prossima settimana sono almeno 4.

1. Europa sotto pressione: l’inflazione sta calando?

I dati sui prezzi al consumo della zona euro del 29 settembre hanno il potenziale per muovere i mercati in modo significativo.

La Bce, infatti, ha aumentato ancora il costo del denaro di 25 punti base nell’ultima riunione, rivedendo al rialzo le previsioni sui prezzi soprattutto per il 2023 e il 2024, con l’allarme energetico tornato a farsi pressante.

Gli spiragli di ottimismo, comunque, non mancano per la zona euro. L’inflazione complessiva rimane ben al di sopra dell’obiettivo del 2% della Bce, ma si sta muovendo nella giusta direzione.

I prezzi al consumo sono aumentati del 5,2% su base annua ad agosto, proseguendo una tendenza al ribasso iniziata lo scorso autunno. Tuttavia, con l’indebolimento dell’economia del blocco valutario, la banca centrale ha anche lasciato intendere che almeno una pausa nei rialzi sarebbe arrivata.

Un ulteriore calo dell’inflazione stimolerà senza dubbio un’intensa speculazione sui tempi del primo taglio dei tassi. Al contrario, una fiammata dei prezzi potrebbe far piombare le Borse europee nel pessimismo.

2. La Fed osserva l’inflazione Usa

L’indicatore di inflazione preferito dalla Federal Reserve arriverà il 29 settembre, subito dopo che la banca centrale ha segnalato l’intenzione di mantenere i tassi di interesse più alti per un periodo più lungo per domare le pressioni sui prezzi.

L’indice dei prezzi della spesa per consumi personali (PCE) è aumentato del 3,3% nei 12 mesi fino a luglio. La Fed segue gli indici dei prezzi PCE per il suo obiettivo di inflazione del 2%.

Nella sua ultima decisione, la banca centrale Usa ha mantenuto i tassi di interesse stabili, ma la politica monetaria probabilmente sarà significativamente più restrittiva fino al 2024 rispetto a quanto previsto in precedenza. Per questo, qualsiasi sorpresa nell’aggiornamento del PCE potrebbe scuotere i mercati, già ampiamente innervositi, con il crollo azionario e il balzo dei rendimenti.

3. Prezzi petrolio sempre più alti?

L’impennata del petrolio ha rafforzato le preoccupazioni sull’inflazione e rischia di mettere in grave crisi le banche centrali nelle loro politiche di raffreddamento dei prezzi.

Il prezzo del petrolio – una delle principali variabili dell’inflazione che sfugge al controllo di qualsiasi policymaker – è salito sopra i 90 dollari al barile, raggiungendo i massimi di 10 mesi.

Fattore scatenante del balzo è stato l’annuncio di Arabia Saudita e Russia, che rappresentano oltre il 20% della produzione globale, di estendere i tagli alla produzione fino alla fine dell’anno, per allineare l’offerta alla domanda.

La maggior parte degli analisti concorda sul fatto che il prezzo del petrolio, in teoria, dovrebbe rimanere più alto per un periodo più lungo per spingere davvero al rialzo l’inflazione principale. Ma le previsioni di greggio a 100 dollari stanno diventando più forti. Le banche centrali potrebbero non essere ancora in grado di dichiarare finita la guerra all’inflazione.

4. Fragili equilibri in Asia

Le banche centrali asiatiche si trovano di fronte a un dilemma: come gestire l’indebolimento della crescita economica e il picco dell’inflazione, arrestando al tempo stesso il calo delle valute per mantenere la stabilità nei loro sistemi finanziari.

La Banca d’Indonesia ha mantenuto i tassi stabili per l’ottavo mese. L’inflazione avrebbe potuto giustificare un taglio, ma il governatore Perry Warjiyo ha sottolineato che la stabilità valutaria è un fattore decisivo. La rupia è ai minimi di sei mesi e il suo premio di rendimento rispetto al dollaro Usa si è ridotto.

Lo stesso giorno, la banca centrale filippina ha dato priorità al sostegno del peso rispetto alla crescita economica che ha registrato il suo livello più lento in quasi 12 anni nel secondo trimestre, con una pausa da falco.

La Banca di Thailandia si riunirà il 27 settembre e probabilmente manterrà un atteggiamento aggressivo, costretta dall’assedio del baht, nonostante gli ampi deficit e un’economia in difficoltà.

La strategia seguita è stata quella di un massiccio intervento sul mercato valutario. Ma molto potrebbe dipendere dalle decisioni di altre banche centrali più lontane, in particolare dalla Federal Reserve. Una Fed falco rafforza il biglietto verde e tutto quello che è denominato in dollari.

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