Riflettori puntati sull’inflazione USA, soprattutto in un momento in cui i futuri tagli dei tassi da parte della Fed risultano più incerti con il fattore Trump.
L’attesa era tanta, per il primo dato relativo all’inflazione USA in calendario dopo le Elezioni USA della scorsa settimana, che hanno incoronato Donald Trump prossimo presidente degli Stati Uniti e, anche, dopo l’ennesimo taglio dei tassi, annunciato nel Day After l’Election Day dalla Fed guidata da Jerome Powell.
Oggi, dal fronte macroeconomico degli Stati Uniti, è stato pubblicato l’indice dei prezzi al consumo USA relativo al mese di ottobre.
Primo dato inflazione USA post vittoria di Trump: diffuso l’indice CPI di ottobre
Tra i parametri più cruciali in primis per la Federal Reserve e per i mercati per avere un quadro più chiaro della direzione dell’inflazione, il dato, attenzionato soprattutto per anticipare la possibile direzione dei tassi sui fed funds Usa, è salito su base annua a ottobre del 2,6%, in linea con le attese.
Su base mensile, il trend del CPI è stato di un rialzo dello 0,2%, anche in questo caso in linea con le previsioni.
Ha centrato le stime del consensus degli economisti anche la componente core dell’indice CPI, salita su base annua del 3,3%.
Idem il trend su base mensile del CPI core, in rialzo dello 0,3%, come avevano stimato gli esperti.
I numeri relativi all’inflazione in linea con le previsioni hanno fatto scivolare i rendimenti dei Treasury a 10 anni e a 2 anni rispettivamente al 4,38% e al 4,256%, a fronte degli acquisti che sono scattati sui titoli di stato, dopo la pubblicazione del dato.
Per quanto riguarda la reazione di Wall Street, i futures sui principali indici azionari USA hanno accelerato al rialzo, seppur in misura lieve.
In evidenza il dollaro USA, con il Dollar Index che è scattato oggi fino a 106,21 punti, al record dal 1° maggio di quest’anno, ovvero al valore più alto degli ultimi sei mesi.
Inflazione USA accelera a ottobre. Attenti alla componente shelter
Per quanto in linea con le attese del consensus, il messaggio arrivato con la pubblicazione dell’indice dei prezzi al consumo USA di ottobre non è stato del tutto confortante, in quanto ha messo in evidenza un’accelerazione delle pressioni inflazionistiche.
Occhio in particolare alla componente dei costi energetici che, dopo avere puntato verso il basso per diversi mesi, ha riportato un trend piatto su base mensile, scendendo comunque del 4,9% su base annua.
I prezzi dei beni alimentari sono saliti invece dello 0,2% su base mensile e del 2,1% su base annua.
A confermarsi preoccupante è stata la componente degli affitti “shelter”, in generale il trend del costo delle abitazioni, la componente che ha inciso in modo più significativo sul trend del CPI.
L’indice shelter - che incide per circa 1/3 sul dato complessivo dell’inflazione - è salito infatti a ottobre dello 0,4% su base mensile, dunque del doppio rispetto a settembre, balzando su base annua del 4,9%.
Tassi Fed: su cosa stanno scommettendo i mercati con vittoria Trump alle Elezioni USA
Guardando all’inflazione USA e in attesa che la Fed scopra le sue carte a dicembre, su cosa stanno scommettendo i mercati?
Indicazioni importanti arrivano dallo strumento che fa il punto della situazione sulle scommesse sui tassi che vengono prezzate dai mercati, ovvero dal FedWatch Tool stilato dal CME Group, la società di servizi finanziari con sede a Chicago leader nel mercato globale dei derivati.
Dallo strumento, che misura la probabilità che si verifichino cambiamenti nei tassi decisi dal FOMC-Federal Open Market Committee (FOMC) nell’arco dei prossimi meeting, è emerso che i mercati al momento scommettono su un altro taglio dei tassi di 25 punti base da parte della Fed di Powell nel prossimo meeting di dicembre con una probabilità pari al 62%, in calo rispetto alla probabilità dell’84% circa di un mese fa.
Le speculazioni che puntano su un’altra sforbiciata ai tassi USA nella riunione di dicembre si sono dunque ridotte, in un contesto in cui si teme che la banca centrale americana sarà costretta a fare perfino una pausa nel ciclo di allentamento della restrizione monetaria a cui ha dato il via soltanto il 18 settembre scorso.
La paura dei trader si spiega con le politiche che la seconda amministrazione di Donald Trump varerà, una volta che il presidente eletto salirà ufficialmente alla Casa Bianca. Politiche che sono state già definite inflazionistiche.
Detto questo, va anche messa in conto la posizione quasi sicuramente più precaria in cui verserà l’indipendenza della Federal Reserve, visti i recenti commenti che sono rimbalzati su X con l’hashtag #EndTheFed.
Hitesh Jain, strategist della divisione di ricerca sull’azionario di YES Securities, ha commentato la situazione, affermando che, a dispetto della preferenza di Trump per tassi di interesse più bassi il più possibile, la Federal Reserve potrebbe astenersi dal varare tagli significativi nel corso del 2025, a causa della politica fiscale espansionistica che il tycoon repubblicano è intenzionato a lanciare.
“L’imposizione di dazi e le politiche più severe sull’immigrazione potrebbero far salire ulteriormente l’inflazione. In più, una politica fiscale più espansiva, incentrata su tagli alle tasse e sull’aumento degli investimenti nella difesa e nella sicurezza dei confini, potrebbe far salire il deficit fiscale, aumentando la necessità (di Washington) di ricorrere all’indebitamento, aumentando così i rendimenti dei bond”.
Di conseguenza, ha aggiunto Jain, “sebbene il taglio dei tassi di 25 punti base di dicembre sia certo, prevediamo che la Fed lancerà nel 2025 una quantità di tagli inferiore ai -100 punti base previsti dal dot plot” di settembre.
Da quel dot plot emerge infatti che le previsioni mediane degli esponenti del FOMC puntano su tagli complessivi ai tassi pari a 100 punti base nel 2025, dopo i 100 punti base di sforbiciate attese nel 2024 e prima di altri tagli di 50 punti base nel corso del 2026, per un valore totale di 250 punti base.
Occhio alle indicazioni che arrivano dal dollaro. Euro vicino a minimi in un anno
Termometro del timore che i tagli dei tassi da parte della Fed precedentemente previsti per il 2025 siano a rischio è stata in queste ultime sedute la performance del dollaro USA, nei confronti delle principali valute.
Il rapporto dollaro-yen USD-JPY si è rafforzato per esempio fino a quota JPY 155, portando lo yen a scivolare al minimo dal mese di luglio.
Il dollaro oggi è poco mosso nei confronti della sterlina che, tuttavia, a causa dei buy sulla valuta americana scattati dopo la vittoria di Donald Trump alle Elezioni USA, si è avvicinata ieri ai minimi degli ultimi tre mesi, attorno a $1,27190.
Occhio soprattutto all’euro, che non è poi molto distante dal valore più basso dell’ultimo anno, a quota $1,059425.
I buy sul dollaro sono fioccati proprio con le scommesse degli investitori sull’effetto delle politiche di Trump, che dovrebbero secondo gli analisti sostenere la crescita del PIL e, così facendo, anche la crescita dell’inflazione.
E le previsioni bullish non arretrano. In particolare Mitul Kotecha, responsabile della divisione di strategia macro sul FX & EM di Barclays, ha scritto in una nota di credere che ci sia ulteriore margine di rialzo per la valuta USA.
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